La lotta al cancro al seno a Latina ha un protagonista assoluto: Fabio Ricci, senologo, ricercatore e direttore clinico della Breast Unit del Santa Maria Goretti di Latina. Ha sposato in pieno la causa delle donne colpite da tumore al seno, nel senso letterale ed etico del termine, con tutte le conseguenti problematiche e gli assilli psicologici che questo comporta. Colto e amante dell’arte, trasmette questi raffinati saperi in ogni occasione.

La prevenzione e una diagnosi precoce di cancro al seno possono portare alla guarigione in oltre il 90% dei casi. Lui lo sa e per questo non si risparmia mai. Per raggiungere più risultati possibili, l’infaticabile dr. Ricci gira la provincia in lungo e in largo, partecipando a più iniziative possibili, messe in campo da varie realtà. L’ultima ad Aprilia, organizzata dall’Andos (Associazione Nazionale Donne Operate al Seno).

L’obiettivo di queste associazioni è cercare di raggiungere tutti. Quindi, dopo le iniziative per una inclusione più ampia possibile con le minoranze etniche hindi e di lingua araba presenti sul nostro territorio, esse si sono organizzate per raggiungere anche chi ha altri problemi di natura fisica, che precludono la giusta informazione. Come? Adottando la lingua dei segni.

Le Breast – ripete sempre Ricci – non sono scatole vuote, ma rappresentano l’unica vera chance per guardare alla possibilità di guarire o di convivere a lungo con una malattia metastatica con risultati fino a qualche anno fa impensabili. Un team interdisciplinare di radiologi, oncologi, chirurghi, radioterapisti, fisiatri, psico-oncologi ed altri professionisti discute caso per caso per dare il miglior sostegno e predisporre iter personalizzati alle donne che si ammalano.

Che succede quando una donna viene a sapere di essere malata?

“In un primo momento, tra il mondo della paziente e gli operatori sanitari – spiega Ricci – si crea un vero e proprio muro, i cosiddetti “modi barriera”, per cui diventa difficile comunicare, far passare informazioni preziose alla donna che, al momento della diagnosi, subisce un terremoto interiore che la fa letteralmente precipitare in una caverna buia senza fondo”.

È il momento giusto per la sua “presa in carico” dalla équipe multidiciplinare di operatori sanitari che le forniscono informazioni su tutto l’iter diagnostico-terapeutico che dovrà poi affrontare, accompagnandola nel percorso di conoscenza chiamato “spirale virtuosa”.

“Una spirale che parte dal fondo buio della caverna – spiega ancora il medico – la paziente appena viene a sapere diventa confusa, disorientata e, percorrendo i cerchi della spirale, ha spesso l’impressione di tornare al punto di partenza. In realtà percorre progressivamente un cammino a tappe elevandosi a un livello superiore che, alla fine, la condurrà dalle tenebre della malattia alla luce della guarigione. È l’interpretazione in chiave moderna del mito della caverna di Platone”.

La ricerca

Purtroppo il tumore al seno è la più frequente neoplasia femminile e la prima causa di mortalità tra le donne. In Italia la malattia colpisce poco più di 50mila donne all’anno. Nonostante questi numeri, però, il tumore è anche uno di quelli che presenta i più alti tassi di guarigione. Le probabilità di guarigione sono tanto più alte quanto più la diagnosi è precoce. Complice il progresso della ricerca, il tumore al seno fa sempre meno paura.

All’inizio, un secolo e mezzo fa, si effettuavano sulle donne rudimentali operazioni chirurgiche volte ad eliminare le masse tumorali, con interventi molto invasivi, radicali e totalmente mutilanti. Per anni tutto è rimasto fermo, fino a quando negli anni 70 finalmente arrivò un grande medico che rivoluzionò tutto: Umberto Veronesi. Anni fa ho avuto il piacere di intervistarlo e seguirlo nelle sue lezioni magistrali. Lui cominciò a preservare il seno della donna con un intervento mirato: la quadrantectomia. Qualche anno dopo, sempre l’equipe del professor Umberto Veronesi sviluppò la tecnica del linfonodo sentinella, che riduceva ulteriormente l’impatto dell’operazione di rimozione del tumore al seno.

Oggi? Oggi con i passi avanti della ricerca è possibile evitare il ricorso alla chemioterapia adiuvante per ridurre il rischio di recidiva, se il tumore del seno ha determinate caratteristiche molecolari.

Il Manifesto Rosa: “La malattia getta nel buio, occorre far ritrovare la luce”

Fabio Ricci è tra i fondatori del Manifesto Rosa, emblema della prevenzione che salva la vita. Lui, come ho già detto, è dotato di una raffinatezza culturale che al di là della camera operatoria usa con retorica vivace e suadente, come solo gli uomini d’azione sanno fare e che utilizza per convincere le donne a fidarsi di lui. Sempre pieno di iniziative, pur di coinvolgere chi già sa e muovere chi non sa, parlando e sollecitando quella tanto importante e proficua prevenzione, che salva la vita.

Ed ecco allora nel 2015, a Ventotene, isola degli esilii per eccellenza e del manifesto europeo, che nasce – sempre per esorcizzare questa terribile malattia – il Manifesto Rosa. Non più confini e carcere, ma speranza di vita, che attraversa le coste dell’isola con un logo. L’idea fu casuale. Un giorno insieme ad Alessandro Rossi, all’epoca presidente della Lilt (Lega Italiana per la lotta contro i tumori) di Latina, videro una nave rosa che solcava l’orizzonte di quel mare splendido. Una nave rosa non la si vede tutti i giorni. In quel luogo poi.

Interpretarono quella figura che si stagliava lontano come una nuova simbologia molto congeniale alle loro battaglie: Ventotene, il Manifesto, il mese di ottobre e la Nave Rosa. Un cocktail importante. Come non tenerne conto? Un clic e quella nave diventò il simbolo di un nuovo coraggio. Quello delle donne che combattono contro una minaccia che se presa in tempo salva davvero molte vite. Lui sa che le donne, a cui il cancro ha costretto a reinventarsi una seconda vita, vanno aiutate, dando loro un’altra chance: quella di vivere bene e il più a lungo possibile.

Una volta l’ho definito l’idolo delle donne. Delle donne malate che cura, accudisce, vezzeggia, vizia e coccola e che vivono grazie a lui. Ognuna, oltre la salute, gli deve qualcosa. Lui le prende per mano e le guida fuori dal tunnel. E loro ci si affidano. Senza reticenza alcuna.

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