di Giuseppe Leocata*, Ludovica Azzola, Stefano Candura** e Diana De Venz***

In occasione del XVI Congresso della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni tenutosi a Roma in ottobre è stata presentata un’indagine riguardante i lavoratori migranti. L’indagine è stata diretta a conoscere e ad analizzare in modo descrittivo come è stato vissuto questo periodo e come la pandemia da Sars-Cov-2 abbia influito sull’attività lavorativa dei migranti presenti e operanti in alcune provincie lombarde: Milano, Bergamo e Lodi ed Ancona nelle Marche.

La finalità sociale dell’indagine che ci si è proposti è quella di raccogliere dei dati da presentare ai Servizi di Medicina del Lavoro delle Ats lombarde (ex Asl), ai Sindacati e alle Associazioni che si occupano di migranti, al fine di stimolare la loro attenzione per un intervento a favore della igiene e sicurezza di questi lavoratori e anche per un incontro con il mondo delle imprese per una sua sensibilizzazione alla problematica.

In linea generale, l’indagine – che ha avuto come riferimento il periodo che va da ottobre 2019 a aprile 2022 – ha confermato come la pandemia ha segnato anche gli ambienti di lavoro e la vita quotidiana, particolarmente dei lavoratori migranti presenti in Italia. Il dato inerente le difficoltà di accesso alle Strutture Sanitarie pubbliche e le maggiori difficoltà per gli ‘irregolari’ è in linea con quanto rilevato nel Progetto Interregionale dell’Inmp (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà) del 2022 (difficoltà all’accesso ai Servizi Sociosanitari sia di tipo culturale e religioso sia difficoltà burocratiche legate all’incompatibilità tra impegni lavorativi e orari di apertura dei Servizi).

Non è stato confermato il dato che le persone più svantaggiate siano quelle maggiormente esposte al virus e ai suoi esiti peggiori. La percentuale di stranieri che si è sottoposta al test (tampone) è risultata significativa diversamente da quanto nelle statistiche dello studio di Inmp e non si hanno dati circa la loro percentuale di ospedalizzazione.

In merito alla povertà tra i migranti, il dato (migranti disoccupati in periodo pre-Covid 4,84% e in periodo Covid 20,97%) è indice del generale peggioramento della situazione lavorativa per i lavoratori stranieri con percentuali maggiori rispetto a quelli italiani ed è in linea con il dato generale dell’impoverimento della popolazione precaria straniera e meno retribuita; una quota significativa del campione intervistato ha perso il lavoro nel periodo Covid. Ciò conferma come il mercato del lavoro in Italia offre poche buone opportunità occupazionali e genera strutturalmente povertà, con un incremento dei cosiddetti “working poor”.

Sono stati rilevati per i lavoratori migranti sia la presenza del lavoro nero (lavoro con contratti irregolari nel 29,03% del campione), sia il fatto che i lavori da loro svolti sono in genere pesanti (“3D” “Dirty, Dangerous, Difficult”).

L’informazione ai lavoratori migranti in materia di igiene e sicurezza del lavoro è stata carente e problematiche sono risultate in alcuni casi le culture di appartenenza e le difficoltà comunicative e linguistiche. La situazione di precarietà di questi soggetti porta anche ad una loro ‘ridotta’ percezione del rischio, come esito della comprensione personale e soggettiva dei rischi reali presenti nel luogo e nella organizzazione del lavoro e anche di fattori collettivi e sociali presenti negli ambienti di lavoro.

È necessario un cambiamento di rotta e la spinta da parte delle forze sociali progressiste verso una nuova governance dei processi migratori e dell’interazione sociale e lavorativa di queste persone/forza lavoro, da considerare come un valore aggiunto alla nostra società.

Vanno garantite maggiormente le donne migranti che si trovano in posizione di tutela inferiore rispetto agli uomini su diversi fronti. A livello globale va ricostruita una cultura del lavoro, anche e non soltanto in termini di igiene sicurezza del lavoro, quale – soltanto ad esempio – la lotta al ‘caporalato’ diffuso anche nel nord Italia.

Vanno attivati una corretta informazione, formazione e addestramento di tutti i lavoratori, italiani e migranti; vanno avviati processi di miglioramento delle condizioni generali del lavoro attraverso misure tecniche, organizzative e procedurali rivolte a tutte le tipologie di realtà aziendali.

Ciò anche attraverso un ruolo a 360 gradi da parte di tutti gli attori in gioco: Datori di Lavoro, Dirigenti e Preposti, Medici Competenti, Responsabili dei Servizi di Protezione e Prevenzione e Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza. Vanno attivate le attività di tutti gli organi di controllo (Inps, Inail, Ispettorati del Lavoro e Servizi di Vigilanza delle Ats/Asl).

Il mondo delle imprese, il mondo sindacale e tutti i cittadini devono prendere coscienza di queste problematiche affinché vengano decise e attuate scelte strategiche e consapevoli che concorrano alla ricerca del bene comune, alla sostenibilità nel tempo dei modelli di sviluppo, alla creazione di nuove forme di governance delle interdipendenze globali, anche in merito all’igiene e alla sicurezza del lavoro.

* Medico del lavoro, ASST Melegnano Martesana (Mi),
** Medici del lavoro, Azzolla Specializzanda della Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro,
Università di Pavia – Istituti Clinici Scientifici Maugeri IRCCS, Unità Operativa Medicina del Lavoro,
Istituto di Pavia, Candura Direttore della medesima scuola.
*** Educatrice, Mediatrice Socio-Educativa

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