di Cinzia Catrini *

Nell’ambito degli interventi volti alla promozione dei diritti e delle libertà fondamentali, negli ultimi anni, è stata oggetto di particolare attenzione la parità di genere e, del resto, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere rappresenta uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.

Non solo. La centralità delle questioni relative al superamento delle disparità di genere è ribadita, altresì, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che individua la parità di genere come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano: che, a sua volta, dovrà essere valutato in un’ottica di gender mainstreaming.

In particolare, nell’ambito della Missione 5 del Piano, l’investimento 1.3 è dedicato alla attivazione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere, con l’obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree che presentano maggiori criticità.

Il Sistema è stato introdotto all’articolo 46-bis del Codice delle pari opportunità e ne sono state definite le modalità attuative con il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri n. 152/2022.

I parametri minimi per il conseguimento della certificazione sono quelli previsti nella prassi Uni/PdR 125:2022.

Lo standard prevede sei aree principali rispetto alle quali viene valutata la parità di genere all’interno di un’organizzazione: a) area cultura e strategia; b) area governance; c) area processi HR; d) area opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda; e) area equità remunerativa di genere; f) area tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Per ciascuna sono stati individuati indicatori prestazionali (Key Performance Indicators, Kpi), di natura quantitativa e qualitativa, a cui sono assegnati specifici punteggi. La certificazione si ottiene con il raggiungimento di un punteggio minimo pari al 60 per cento ed è previsto un sistema di punteggi semplificato per le piccole e micro-organizzazioni.

Bene precisare che la certificazione non ha alcuna limitazione settoriale, e può quindi essere applicata in maniera equa e oggettiva a tutte le imprese ed organizzazioni, a prescindere dal settore di riferimento, dal numero di dipendenti, e dalle condizioni di partenza delle imprese ed organizzazioni stesse, sia che operino nel pubblico che nel privato.

Ottenere la certificazione quindi conviene?

Sì. Il legislatore ha deciso di incentivare le aziende che ricorrono alla certificazione mettendo a disposizione nel PNRR, risorse pari a 10 milioni di euro e prevedendo incentivi fiscali e meccanismi di favore nelle gare pubbliche; in particolare sono state previste le seguenti misure premiali:

  • riduzione del 30% della garanzia fideiussoria per la partecipazione a gare pubbliche (art. 93, c. 7, Dlgs 50/2016, modificato dall’art. 34, c. 1, Dl 36/2022);
  • attribuzione, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, di un maggiore punteggio ai fini della valutazione di un’offerta concernente beni, lavori o servizi (art. 95, c. 13, Dl 50/2016, modificato dall’art. 34, c. 2, Dl 36/2022);
  • sgravi contributivi nel limite dell’1% di quelli complessivamente dovuti e di 50 mila euro annui per ciascuna azienda (art. 5, c. 1 e 2, L 162/2021);
  • attribuzione di un punteggio premiale per la valutazione – da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali – di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti (art. 5, c. 3, L 162/2021).

La richiesta della certificazione sarà agevolata fino a dicembre 2026 per le PMI e le micro-imprese; le piccole (da 10 a 49 addetti) e le micro-imprese (da 1 a 9 addetti) saranno inoltre monitorate solo rispetto ad alcuni obiettivi.

Si segnala, infine, che, entro il 2023, sarà disponibile un database che raccoglierà l’elenco degli enti accreditati e delle imprese che otterranno la certificazione; per gli enti accreditati sarà possibile partecipare a un avviso pubblico per poter figurare in questo database, utile per supportare le Pmi nella copertura dei costi per la certificazione.

Ed ancora, pare quantomeno opportuno sottolineare che la certificazione rappresenta un framework aziendale di alto livello per valorizzare i presidi individuati anche nell’orizzonte ESG. Le valutazioni ESG misurano, infatti, il grado di conformità dell’attività imprenditoriale a principi che esprimono, tra gli altri, la non-discriminazione ed inclusione nel contesto lavorativo e costituiscono essi stessi parte di una strategia di business nell’ottica di creare valore condiviso anche all’esterno dell’impresa.

La scelta del legislatore nell’introdurre la certificazione ha voluto, quindi, indicare al Governo D’Impresa che la sua adozione (compliance) non solo valorizza l’impresa ed il suo business preservando e creando profitto grazie ai correlati effetti premiali ma, altresì, valore sia in termini di Sociali (leggi ESG) che di immagine e posizionamento sul mercato di riferimento.

Si segnala (!) che, come chiarito in una nota congiunta di Accredia, l’Ente nazionale di accreditamento, ed UNI, l’Ente Italiano di Normazione, solo i certificati di conformità alla prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 rilasciati sotto accreditamento, che riportano il Marchio UNI ed il logo dell’Ente di accreditamento (per l’Italia è appunto Accredia), insieme al nome dell’organismo accreditato, consentono alle imprese di accedere ai benefici fiscali previsti dalle leggi in materia essendo gli unici riconosciuti dal Decreto del 29 aprile scorso.

* Svolge la professione di avvocato da oltre un ventennio ed è abilitata avanti alla Suprema Corte di Cassazione. Opera nel settore del diritto penale “bianco”. Ha acquisito un’ampia esperienza nelle leggi regolanti il governo d’impresa e relative tematiche della legislazione speciale attinenti al settore sicurezza e compliance com/in/avv-cinzia-catrini-536010aa

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