A 24 ore dalle elezioni presidenziali in Brasile, il candidato della sinistra, Luiz Inacio ‘Lula’ da Silva, continua a essere favorito sul presidente uscente, Jair Bolsonaro. I sondaggi realizzati nel Paese da diverse società di ricerca mostrano un vantaggio tra lo 0,4 e l’8 per cento dell’ex sindacalista sull’ex capitano dell’esercito. Tuttavia, alle carenze metodologiche – protagoniste in negativo delle proiezioni in realizzate già in occasione del primo turno – si aggiunge una strategia dei responsabili della comunicazione di Bolsonaro capace di alterare i risultati e generare ulteriori incognite sul risultato.

La maggior parte delle ricerche effettuate in previsione del primo turno attribuiva a Lula vantaggi su Bolsonaro fino a 16 punti. Lo scarto nelle urne si è ridotto a 5 punti. Conosciuto l’esito dello scrutinio, lo stesso Bolsonaro ha detto di aver “sconfitto le bugie dei sondaggi”, già oggetto di critiche in occasione delle più sfavorevoli pubblicazioni. Il presidente della Camera, Arthur Lira, si è spinto a proporre una Commissione parlamentare di inchiesta sugli istituti di sondaggi e poi una legge per limitarne le attività. A partire da queste posizioni è nata la strategia del ministro delle Comunicazioni Fabio Faria che in un video su Twitter ha chiesto apertamente agli elettori di Bolsonaro di boicottare i prossimi sondaggi. “Non permetteremo agli istituti di fare questo disservizio. Chiedo a tutti coloro che sostengono il presidente di non rispondere ad alcun sondaggio in occasione del secondo turno”.

Al netto delle proiezioni sono diversi gli elementi lasciano prevedere che lo scontro sarà definito ai punti. La società brasiliana arriva all’appuntamento del ballottaggio drammaticamente polarizzata e divisa su posizioni opposte, contrarie e inconciliabili rispetto a due modi di vedere il mondo, la società, l’economia e la vita. Tanto che già al primo turno entrambi i candidati hanno raccolto il maggior numero di voti della propria storia personale. In questo scenario è difficile pensare a un significativo ‘travaso’ di voti da un candidato all’altro grazie agli ultimi atti della campagna elettorale.

Dalle ricerche emergono inoltre altre variabili che lasciano prevedere che la vittoria si giochi su una contenuta differenza di voti . La prima è che oltre l’80 per cento degli elettori dichiara di aver già deciso per chi votare, senza voler cambiare idea. La seconda è legata all’indice di rigetto, misura degli elettori che dichiarano che mai, in nessun caso, voterebbero per un candidato. Bolsonaro raccoglie il 50 per cento di rigetto, Lula il 45. Ulteriore variabile che potrebbe sfuggire alle previsioni ma essere determinante sarà il non voto. Nel definire il calcolo delle preferenze ricevute da ciascun candidato, la giustizia elettorale, per legge, scarta i voti nulli e in bianco e ricalcola le percentuali di ciascun candidato identificando la percentuale di “voti validi” che definisce la vittoria finale.

Il testa a testa tra i due candidati e l’incertezza sull’esito finale, ha acceso ulteriormente gli animi nella parte finale della campagna. Nel botta e risposta a distanza Bolsonaro ha parlato più volte di virada possibile, mentre Lula afferma che è impensabile per Bolsonaro recuperare lo scarto di oltre 5 milioni di voti del primo turno. In una campagna elettorale caratterizzata ancor meno dal confronto sui contenuti, e ancor più sullo scontro personale e sulla battaglia ‘digitale’ sui social network, è Lula ad avere in mano nelle ultime ore più risorse da spendere per il rush finale. Nelle ultime settimane Bolsonaro è stato chiamato a disinnescare con difficoltà alcune ‘mine’ capaci di frustrare il suo stesso elettorato. Dal punto di vista economico hanno pesato le dichiarazioni del ministro dell’Economia Guedes che ha dichiarato di voler sganciare il calcolo del valore del salario minimo e delle pensioni minime dall’adeguamento all’inflazione oltre che di voler ridurre ferie pagate e tredicesime. In precedenza Bolsonaro si era dovuto difendere dall’indignazione generata da alcune sue affermazioni sulle giovani venezuelane. Il presidente ha raccontato in una radio della ‘malizia’ nata tra lui e alcune giovani immigrate minorenni costrette a prostituirsi, scatenando imbarazzo soprattutto tra l’elettorato femminile e tra i fedeli evangelici.

In ultimo, il caso più grave ha visto come protagonista l’ex deputato Roberto Jefferson. Il presidente del Partito laburista brasiliano (Ptb), agli arresti domiciliari perché accusato di guidare un gruppo sovversivo con l’obiettivo di “destabilizzare le istituzioni della Repubblica” è stato arrestato per tentato omicidio di quattro agenti della Polizia federale (Pf) contro i quali ha lanciato due granate ed esploso almeno 50 colpi di fucile automatico per evitare di essere arrestato e trasferito in carcere per violazione degli arresti domiciliari. Di fronte alla violenza contro la polizia, sua base elettorale, Bolsonaro ha sulle prime giustificato il leader del Ptb e annunciato l’invio del ministro della Giustizia per analizzare i fatti. In seguito ha affermato che Jefferson si era comportato come “un criminale”, creando malumori nel partito alleato. Infine ha dichiarato di non avere rapporti personali con Jefferson, affermazioni contestate dalla pubblicazioni di numerose foto del presidente insieme all’antico alleato e amico che dal carcere ha detto di sentirsi abbandonato.

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