di Paolo di Falco

Ieri mattina la neo Premier Giorgia Meloni durante il suo discorso con cui ha chiesto e ottenuto la fiducia alla Camera dei Deputati ha sottolineato l’importanza dell’entusiasmo e del coraggio dei giovani per risollevare il nostro Paese.

La stessa ha confessato che difficilmente riuscirà a non provare “un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza contro le politiche del nostro governo” visto che le “torneranno inevitabilmente alla memoria le mille manifestazioni” a cui ha “partecipato con tanta passione senza mai prendere ordini da alcuno”.

Alla fine, citando anche la famosa frase di Steve Jobs “Siate folli, siate affamati” e rivolgendosi ai giovani, ha aggiunto un “siate liberi perché è nel libero arbitrio la grandezza dell’essere umano”.

Mentre in Parlamento la Presidente del Consiglio pronunciava queste parole, davanti alla Facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma gli studenti universitari venivano caricati e manganellati dalla polizia in tenuta antisommossa. Il motivo? Aver manifestato il loro dissenso nei confronti di due ospiti, il giornalista Daniele Capezzone e il deputato di Fratelli d’Italia Fabio Roscani, invitati in un convegno relativo al “capitalismo buono” svoltosi all’interno dell’ateneo.

Il paradosso è che la stessa università ha diramato una nota dicendo che: “L’Università deve essere un luogo in cui si studia, si cresce, in cui bisogna incontrarsi e confrontarsi, ma non scontrarsi fisicamente. Condanniamo ogni forma di violenza e garantiamo, ad ogni individuo che agisca secondo i Principi costituzionali, il diritto a manifestare liberamente le proprie opinioni nel rispetto della pluralità delle idee”.

Belle parole che non hanno trovato alcun riscontro pratico visto che per un presidio studentesco pacifico a cui partecipavano una cinquantina di studenti si è preferito schierare un numero spropositato di forze dell’ordine che, tra l’altro, hanno reagito manganellando gli studenti che volevano semplicemente appendere uno striscione, ben visibile in quasi tutti i video che sono circolati sui social, con la scritta “Fuori i fascisti dalla Sapienza” davanti alle porte sbarrate della facoltà di Scienze Politiche.

In tanti ieri, cercando di giustificare la dura reazione della polizia, hanno invano gridato alla volontà dei manifestanti di occupare la Facoltà o di andare a disturbare il convegno. Motivazioni che reggono come un castello di carte: da un lato si vorrebbero mettere gli studenti che hanno semplicemente manifestato il loro dissenso allo stesso piano di coloro che circa un anno fa assaltarono a Roma la sede della Cgil; dall’altro lato, invece, basterebbe innanzitutto conoscere i fatti: la Facoltà un quarto d’ora prima del convegno è stata letteralmente blindata e le porte d’accesso sono stata chiuse anche attraverso le inferriate esterne.

Se l’intenzione degli studenti era quella di interrompere l’evento in corso non c’era sicuramente bisogno di fare una manifestazione all’esterno, visto che potevano entrare indisturbati all’interno della Facoltà e procedere con la loro eventuale azione dimostrativa direttamente nell’aula dove si teneva la conferenza.

Da qui, più di qualche domanda sorge spontanea: perché un’università pubblica come La Sapienza ha preferito scomodare la polizia in tenuta antisommossa per “garantire la sicurezza collettiva” di fronte alla grande pericolosità di una cinquantina di studenti armati di cassa e microfono con cui stavano cercando di esprimere le loro opinioni?

L’ultima volta che la polizia era entrata in tenuta antisommossa alla Sapienza era il 2013, il Presidente del Consiglio era Enrico Letta e nell’aula magna dell’università romana si stava svolgendo la conferenza nazionale “La Natura dell’Italia” sulla green economy, alla quale parteciparono, tra gli altri, i ministri dell’ambiente, dell’economia, del lavoro, delle infrastrutture e della salute.

Allora gli studenti manifestarono contro le passerelle del mondo della politica. Erano in 300 e c’era stato anche il lancio di fumogeni e petardi. Un’altra domanda che non possiamo non farci è: che esempio si dà agli studenti se poi si risponde alle loro riflessioni critiche con le manganellate in uno spazio dove, anzi, andrebbe stimolato il confronto?

Dopo le cariche di ieri, immagini che difficilmente potranno essere cancellate dalla memoria collettiva, forse ci sarà anche qualche studente che dirà addio all’attivismo politico a cui faceva riferimento la Premier Meloni nel suo discorso.

Forse qualcun altro prima di esprimersi si ricorderà la violenza con cui sono state represse le sue idee visto che, in questa storia paradossale, si parla tanto di confronto tra opinioni diverse; peccato che poi si preferisca mandare agenti con caschi, scudi e manganelli per “dialogare” con gli studenti che la pensano in maniera diversa rispetto ai loro colleghi, invece che promuovere il dialogo.

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