Come per tutti governi anche per quello di Giorgia Meloni la lotta all’evasione fiscale è, a parole, una priorità. Neanche il tempo di annunciarlo e la presidente del Consiglio lancia l’idea di un condono fiscale, l’ennesimo, che è l’esatto contrario del contrasto all’evasione. Come nelle migliori tradizioni non si chiama condono ma “pace fiscale”, “tregua fiscale”, “patto”, “scudo”. E’ contando su questi provvedimenti che la gente sceglie di non pagare regolarmente quello che dovrebbe che tanto, si sa…prima o poi il condono arriva. L’ultimo lo ha varato un anno fa il governo Draghi, lo stralcio di vecchie cartelle esattoriali fino a 5mila euro.

Nello specifico Meloni propone “una tregua fiscale per consentire a cittadini e imprese. in particolare alle Pmi, in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco“. Ma poi, assicura la presidente del Consiglio ci sarà “una serrata lotta all’evasione fiscale (a partire da evasori totali, grandi imprese e grandi frodi sull’Iva)” che deve essere “vera lotta all’’evasione non caccia al gettito”, e sarà “accompagnata da una modifica dei criteri di valutazione dei risultati dell’Agenzia delle Entrate, che vogliamo ancorare agli importi effettivamente incassati e non alle semplici contestazioni, come incredibilmente avvenuto finora”, ha detto la presidente del Consiglio nel discorso per la fiducia alla Camera.

Secondo Banca d’Italia solo tra il 1973 e il 2019 ci sono stati 25 condoni, una media di uno ogni due anni. Tra il 1980 e il 2010 lo Stato ha incassato con queste misure circa 62 miliardi di euro. Se avesse riportato i tassi di evasione in linea con quelli europei avrebbe incassato, in una stima approssimativa, 1.500 miliardi di euro. Di pace in pace, di tregua in patto, l’Italia ha bombardato il suo Erario e presenta un livello di evasione fiscale in rapporto al Pil cronicamente doppio rispetto alle economie comparabili, a fronte di livelli di tassazione non dissimili. Ogni anno l’Agenzia delle Entrate ci dà notizia di titolari di stabilimenti balneari che guadagnano meno dei loro bagnini, di gioiellieri più poveri di un cassiere del supermercato e via dicendo. Ma adesso, a quanto pare, serve una tregua.

Le due tasse più evase d’Italia sono l’Iva, l’imposta sul valore aggiunto e l’Irpef che grava su lavoratori autonomi e imprese personali. Ogni anno a queste due voci di gettito mancano circa 50 miliardi di euro, la metà di tutto quanto non viene pagato al fisco. Per quanto riguarda l’Irpef su autonomi e aziende l’evasione raggiunge addirittura il 69% di quanto dovrebbe essere versato. In generale, i settori dove l’evasione è più diffusa sono i servizi alla persona, negozi e ristoranti oltre a imprese e artigiani delle costruzioni. L’imposta sui redditi delle società (Ires) che tipicamente interessa le aziende più gradi pesa sul’evasione complessiva per circa 8 miliardi di euro, terza in graduatoria. Come noto l’evasione è sostanzialmente inesistente tra i lavoratori dipendenti, i cui versamenti sono effettuati alla fonte del reddito.

E’ vero che più le imprese sono grandi meno tasse riescono a pagare potendo contare su schemi di quella che si chiama piuttosto eufemisticamente “ottimizzazione fiscale” e grazie alle strutture di cui dispongono e al loro peso contrattuale riescono a fare incetta di incentivi, sgravi etc . Secondo il centro studi di Mediobanca il tax rate sulle imprese italiane è intorno al 20% (era il 27,5% nel 2013).Il dato sulla tassazione dei guadagni è una media nel quale sono contenuti i gruppi grandi, che spesso pagano meno, e le piccole-medie con esborsi molto superiori. In Italia vi sono Iva e altre imposte da aggiungere, ma con l’aliquota media si è sotto la ‘flat tax’ introdotta da Donald Trump negli Stati Uniti.

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