Altro che autonomia, federalismo fiscale e rispetto delle regole. Il Veneto dà un cattivo esempio sulla gestione della lotta all’evasione: nel 2021 solo 14 amministrazioni locali hanno contribuito agli accertamenti fiscali, segno che nella terra dov’è forte il richiamo dell’autonomia fiscale, il contrasto a questa piaga non è una priorità. Nelle sette province del Veneto le attività di verifica tributaria sono in calo dal 2016. È quanto emerge da un rapporto di Spi CGIL-il sindacato dei pensionati-sul tema dell’evasione fiscale, elaborato sulla base di dati del ministero dell’Interno.

Il decreto legge del 30 settembre 2005, modificato e rimesso in vigore ad ottobre 2019, esorta i comuni a partecipare al contrasto del fenomeno grazie anche alla cooperazione con Inps e Agenzia delle entrate per l’accesso a documenti e banche dati. I comuni dovrebbero intervenire trasmettendo all’Agenzia e alla Guardia di finanza delle apposite segnalazioni su cinque ambiti: commercio e professioni, urbanistica e territorio, proprietà edilizie e patrimonio immobiliare, residenze fittizie all’estero e disponibilità di beni in relazione alla capacità contributiva. La soluzione poteva essere una risorsa per gli enti locali, dato che parte dei proventi della lotta all’evasione restano nelle casse comunali. La legge prevedeva inizialmente “il riconoscimento di una quota pari al 33 per cento delle somme relative a tributi statali”, ma nel 2019 la quota è stata elevata al 100 per cento, per la “straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per un più incisivo contrasto del fenomeno”. Con la segnalazione di attività in nero, frodi su imposte locali e dichiarazioni fasulle, i comuni potrebbero rimpolpare le casse con il totale dei soldi riscossi. Lo studio condotto da Spi-Cgil dimostra che i comuni veneti non hanno risposto all’appello, ignorando un doppio possibile vantaggio: il freno agli evasori e il guadagno economico, utili per ricavare risorse per il welfare e i servizi. In Veneto nel 2021 solamente 14 amministrazioni su 563 – pari al 2,5 per cento del totale – hanno svolto attività di accertamento fiscale e contributivo, recuperando 148 milioni, un terzo in meno del 2020.

Le cifre variano da provincia a provincia. A Verona, prima in classifica con quattro comuni aderenti, negli ultimi dodici mesi sono stati recuperati oltre 66mila euro. Assolutamente irrisorio invece il contributo dato dai Comuni di Rovigo e Treviso, rispettivamente 569,77 e 250 euro. Un fenomeno in continuo calo negli ultimi 5 anni. Nel 2016 furono 54 i comuni che aderirono a lavori di controllo tributario, pari al 9,5 per cento. Da allora i numeri sono scesi. L’anno successivo gli enti locali aderenti erano 45, quindi 38 nel 2018 e 24 nel 2019. Ancora meno nel 2020: solo 19 amministrazioni in prima linea nella lotta all’evasione, fino al record negativo di 14 enti nel 2021. È emblematico il caso di Vicenza: nel 2016 la provincia berica ha partecipato all’accertamento fiscale con 23 comuni, 5 anni dopo solo 2, compreso il capoluogo. Vicenza è così passata dai 184mila euro riscossi all’inizio dell’ultimo lustro, ai 743mila del 2018 (un record, circa cinque volte tanto la cifra che oggi ottiene tutta la regione) fino alla misera cifra di 14mila euro nel 2021. Il Bellunese ha ignorato il problema: nessun comune negli ultimi due anni ha svolto attività di verifica.

“È una vergogna che non può più essere tollerata”, commenta la segretaria generale di Spi-Cgil Elena di Gregorio. “I dati del Ministero dimostrano che la lotta all’evasione fiscale non è una priorità dei nostri amministratori. Per noi la lotta all’evasione fiscale è fondamentale perché i soldi sottratti al Fisco sono soldi tolti alle persone più deboli. Non possono essere tollerati interventi che vadano nella direzione di condonare gli importi evasi, è un modo per favorire gli evasori”. Il sindacato vuole invertire la rotta. “Continueremo a chiedere ai sindaci di siglare i patti anti-evasione. È una questione di giustizia sociale e le Amministrazioni devono rendere conto ai propri cittadini sul perché perdono questa opportunità”. Quanto il problema sia serio lo hanno dimostrato, alcuni mesi fa, le stime dell’ufficio studi della CGIA, l’Associazione di artigiani e piccole imprese di Mestre, sull’evasione fiscale in Veneto. Secondo questo rapporto, risulta che nel 2018, ultimo anno di cui sono disponibili i risultati, l’evasione presente nella regione era di 8,6 miliardi di euro, che corrisponde al 12,9 per cento del gettito versato dai contribuenti all’erario. Ciò significa che ogni 100 euro, quasi 13 rimangono nei portafogli degli evasori. Di fronte a questo fenomeno imponente, i comuni del Veneto si girano, autolesionisticamente, dall’altra parte.

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