Come scriveva il creatore di 007 Ian Fleming “una volta è un caso, due volte è una coincidenza, la terza volta è un’azione nemica”. E in effetti i “buchi” nei due gasdotti Nord Stream sono ben tre, troppi per essere una coincidenza. La mattina di lunedì è stato segnalato un brusco calo di pressione nella condotta 2 dovuto ad una perdita di gas scoperta successivamente. Martedì altre due perdite sono state rilevate nel Nord Stream 1, una contemporaneità molto sospetta. Al momento nessuno si sbilancia sui tempi per le riparazioni. La Germania ha affermato che probabilmente si tratta di un sabotaggio, di un “atto violento”. I tubi in acciaio dei due gasdotti hanno uno spessore di 4 centimetri e sono ricoperti da cemento armato spesso tra 6 e 11 centimetri. “È difficile immaginare che si tratti di coincidenze”, ha detto il primo ministro danese Mette Frederiksen aggiungendo che “non si può escludere un sabotaggio”. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha affermato che prima dei risultati di un’indagine è prematuro speculare su un possibile sabotaggio pur precisando che “niente può essere escluso”. “La Nato sta monitorando attentamente la situazione nel Mar Baltico. Gli alleati stanno esaminando le circostanze delle fughe di gas e scambiando informazioni, anche con Finlandia e Svezia“, fa sapere un funzionario dell’Alleanza Atlantica.

Le condotte sorelle corrono per oltre 1.200 kilometri sotto le acque del mar Baltico e collegano le coste russe con quelle tedesche. Ognuna ha la capacità di trasportare oltre 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Cinque volte il nostro Tap, per intenderci. Il Nord Stream 2 è stato completato poco prima dell’inizio della guerra in Ucraina e, sebbene pronto e già con il gas in pressione al suo interno, non è mai entrato in funzione. Il Nord Stream 1 stava già lavorando a ritmi molto ridotti, meno del 20% delle sue capacità e nelle ultime settimane era stato fermato completamente dopo la decisione di Mosca di tagliare i flussi verso la Russia. Ma la notizia delle perdite ha provocato un nuovo balzo del prezzo del gas che, dopo i cali degli ultimi giorni, è risalito fino a 207 euro megawattora.

Se il punto del sabotaggio sembra essere piuttosto pacifico, più difficile fare valutazioni sulle possibili responsabilità. Le autorità tedesche, danesi e svedesi stanno indagando. La Danimarca ha inviato nell’area una nave da guerra, una nave ambientale e un elicottero. Un’ipotesi potrebbe essere quella di un evento sismico ma non ci sono segnalazioni in tal senso sebbene l’istituto geologico svedese abbia rilevato delle esplosioni, una delle quali equivalenti ad un terremoto di magnitudo 2,3. Stessa rilevazione “più simile a un’esplosione che a un terremoto” da parte dei sismologi danesi.

In passato navi da pesca hanno danneggiato con le loro reti cavi delle tlc ma il gasdotto corre a profondità maggiori, rendendo molto improbabile questa eventualità. Naturalmente il Cremlino è il primo indiziato. Secondo Javier Blas, commentatore di Bloomberg sulle questioni energetiche, potrebbe trattarsi di un’ulteriore escalation nelle guerra dell’energia condotta da Putin. Non più soltanto lo stop ai flussi ma anche la compromissione delle infrastrutture, con conseguenze di lungo termine. Il che aprirebbe scenari piuttosto inquietanti anche per le altre infrastrutture energetiche europee che potrebbero essere sabotate non solo fisicamente ma anche con attacchi informatici. La Norvegia, primo fornitore di gas all’Europa, sta aumentando il livello di vigilanza sulle sue infrastrutture, anche dopo che sono stati avvistati droni nel mare del Nord. L’analista del centro studi Bruegel Simone Tagliapietra ipotizza che il sabotaggio possa essere un modo con cui la Russia si costruisce una “causa di forza maggiore” che le consenta di non pagare danni miliardari a clienti europei, come Uniper, per le mancate forniture.

C’è però anche chi non scarta del tutto l’ipotesi di forze ucraine o alleate. In tal caso il senso dell’azione sarebbe quello di spingere l’Europa ad azioni più vigorose contro la Russia. Qualcuno ricorda le parole del presidente statunitense Joe Biden dello scorso 2 febbraio: “Se la Russia invade… allora non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo”. L’ex ministro della difesa polacco Radek Sikorski pubblica su twitter una foto del mare con le emissioni del gas dalle falle del Nord Stream e commenta: “Grazie Usa”.

Le fughe di gas sono state rilevate poche ore prima dell’inaugurazione del gasdotto Baltic Pipe che da ottobre trasporterà il gas norvegese a Danimarca e Polonia. Altra coincidenza degna di nota: venerdì prossimo si riuniscono in sessione d’emergenza i ministri europei dell’Energia che valuteranno il piano di Bruxelles per la riduzione dei consumi e della dipendenza dalle forniture russe. Allo studio c’è anche l’ipotesi di un tetto sul prezzo del gas. Martedì 15 paesi tra cui l’Italia e la Francia (gli altri sono Spagna, Polonia, Grecia, Belgio, Malta, Lituania, Lettonia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Croazia, Bulgaria e Romania) hanno inviato una lettera a Bruxelles in cui sostengono che “il price cap, chiesto sin dall’inizio da un numero sempre crescente di Stati Ue, è l’unica misura che aiuterà ogni Paese a mitigare la pressione inflazionistica, gestire le aspettative, fornire un quadro in caso di potenziali interruzioni dell’approvvigionamento e limitare gli extraprofitti del settore. Il tetto dovrebbe essere applicato a tutte le transazioni” e “non limitato all’import da giurisdizioni specifiche”.

Nelle scorse ore il colosso del gas russo Gazprom ha reso noto di aver chiuso un semestre con risultati “molto forti”, grazie agli “alti prezzi sul mercato europeo del gas”. L’utile del gruppo è salito a 2.514 miliardi di rubli, pari a oltre 44 miliardi di euro, “che non è solo 2,6 volte di più del risultato nel primo semestre del 2021, ma anche più dei profitti totali del gruppo Gazprom nei due anni precedenti”, ha detto Famil Sadygov, vice presidente del consiglio di gestione. Da qui la decisione di pagare per la prima volta nella sua storia un acconto sul dividendo di 2,416 trilioni di rubli, pari a 42,7 miliardi di euro, che andranno in gran parte al governo russo, azionista di controllo di Gazprom.

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