Qualunque sia l’esito del voto c’è già una grana per il Parlamento che verrà. E’ quella delle commissioni che nella 19esima legislatura faranno i conti con deputati e senatori ridotti di un terzo rispetto alla composizione prevista dalla Costituzione del 1948. E dunque si presenta come un “oggetto misterioso”, un inedito istituzionale a partire dai diversi numeri e maggioranze in Aula e nelle commissioni permanenti, che peraltro almeno all’inizio saranno diversi nei due rami del Parlamento. Un aspetto, quest’ultimo, sottolineato dall’agenzia Ansa, di non poco conto, determinato dal fatto che mentre il Senato ha varato una riforma del regolamento interno per adeguare la propria struttura al “dimagrimento” del proprio collegio da 315 a 200 senatori eletti più cinque senatori a vita, alla Camera la riforma non è stata portata a termine per una serie di veti incrociati che hanno pesato nella Giunta per il regolamento e rispetto ai quali il presidente Roberto Fico non avrebbe inteso imporre accelerazioni a Camere sciolte.

La sforbiciata nel numero di deputati e senatori risolverà in modo definitivo i problemi degli spazi di lavoro per i parlamentari e i gruppi. Magari non tutti i deputati ed i senatori potranno disporre di un ufficio ciascuno, ma comunque nei “Palazzi” lavorare sarà più facile. Stesso discorso vale per le due Aule, dove deputati e senatori staranno decisamente più larghi di come lo sono stati fino ad ora, con tanti scranni in più a disposizione. Il Senato, proprio qualche settimana prima della fine della legislatura, ha modificato il proprio Regolamento riducendo il numero delle Commissioni permanenti: passano dalle precedenti 14 alle attuali 10, grazie ad un accorpamento delle competenze di alcune: la Esteri con la Difesa, la Ambiente con la Lavori Pubblici, la Industria con la Agricoltura, la Lavoro con la Sanità. Tuttavia i gruppi medio-piccoli avranno uno o due senatori in ciascuna commissione con competenze molto ampie: questo, qualcuno sostiene, potrebbe finire con l’impedire agli eletti a Palazzo Madama di specializzarsi e di approfondire i provvedimenti esaminati, imponendo così un maggior ricorso ai tecnici esterni e ai legislativi dei ministeri.

A Montecitorio vi è invece il problema della formazione dei gruppi. Non essendo stato riformato il regolamento interno, rimane per ora immutato il numero minimo necessario per formare un gruppo parlamentare, vale a dire 20 deputati. Tuttavia, a fronte di un numero complessivo inferiore di deputati, i partiti che avranno ottenuto meno del 10% dei voti difficilmente riusciranno a formare un proprio gruppo indipendente: gli eletti di queste formazioni finiranno necessariamente al gruppo Misto (all’interno del quale possono essere costituite delle componenti) la cui consistenza iniziale potrebbe essere “monstre”.

La questione non è di poco conto. Avere o meno un gruppo parlamentare conferisce o toglie agibilità politica ad un partito politico: permette di partecipare a pieno titolo alla conferenza dei capigruppo, l’importantissimo organo interno delle due Camere che decide il calendario dei lavori dell’Aula, permette di essere presente in tutte le Commissioni permanenti e consente di ricevere dalle amministrazioni di Montecitorio e Palazzo Madama una buona dotazione economica che serve per pagare i collaboratori dei parlamentari. Nulla questio, invece, al Senato: essendo stato abbassato il minimo di senatori per costituire il gruppo da 10 a 7.

Un altro problema potrebbe riguardare le Commissioni Bicamerali: organi di garanzia importanti come il Copasir, la Vigilanza Rai e l’Antimafia. Queste, per fare un esempio, dovranno evitare di riunirsi nel primo pomeriggio (quando non ci sono i lavori delle due Aule) in concomitanza con le sedute delle Commissioni permanenti di Camera e Senato, pena il rischio di far mancare il numero legale.

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