Dalla stagione dell’eterno presente – quella condizione che ci impedisce di pensare seriamente al futuro, di progettare, programmare dandosi degli obiettivi e fare sforzi per raggiungerli (De Rita) – siamo finiti in quella del passato incombente senza neanche accorgercene, presi com’eravamo a sognare il cambiamento indolore; contingenze, coincidenze e personaggi si stanno occupando di riportarci coi piedi per terra.

L’eterno presente era a suo modo rassicurante, un mondo con una dimensione di meno: vecchi che fanno i giovani, ragazzi mai stati bambini, ingiustizie e diseguaglianze cristallizzate, tutti sulla difensiva ad ascoltare musica di cinquant’anni fa decantandone la carica innovativa e la grande attualità, anziani che si apostrofano con l’appellativo di “ragazzo” e trentenni con l’aria da parvenu che aperitivano in ogni luogo dove mettono piede, forti di un lavoro che non si capisce, che rende poco e che non smettono mai di fare veramente, in una confusione liquida dove il tempo libero quotidiano non c’è più.

L’eterno presente era fatto anche di personaggi rassicuranti (sempre gli stessi all’incirca) in politica, in economia, nei giornali e nelle tv, perfino nelle associazioni e nei sindacati, nelle confindustrie e nella società civile. Le uniche scosse al presente venivano (e vengono ancora) dalla chiesa cattolica, con questo vorticare di papi, di ammende per i peccati dei preti, di nomine coraggiose. Qualcosa sembrava muoversi anche nelle società e nella politica con l’esplosione del M5S, ma poi il passato incombente ci ha disegnato il solito mondo di voltagabbana, affaristi, lobby autogiustificantesi, evasori fiscali, servitori dello Stato che fanno il bene della nazione trattando con la mafia benedetti da magistrati disattenti, i furbi come categoria vincente – mi dà due etti di etica tagliata sottile, che devo farci i panini con l’estetica, ma giusto per insaporirla un po’? – l’elusione come stile di vita, nelle tasse come nei rapporti, nella vita famigliare come in quella sociale.

Ecco, il passato incombente sembra proprio un pentolone in cui ribolle un miscuglio gelatinoso da cui emergono senza ordine brandelli di storia e storie, persone e personaggi, di alcuni solo più qualche parte del corpo. Prendiamo il lavoro: quello a cottimo era una forma di sfruttamento combattuta e in gran parte sconfitta dalle grandi stagioni delle lotte operaie. Nell’eterno presente se ne era persa perfino la cognizione (roba da preistoria); da quando siamo entrati nel passato incombente i cottimisti sono tornati di gran moda, nella logistica, nei servizi, nei lavori a bassa qualificazione. Lo sfruttamento fa tendenza, proprio come sessant’anni fa, prima che gli sfruttati si coalizzassero per riprendersi vita e dignità.

Prendiamo la scuola con la piaga della dispersione e dell’esclusione: aumenta, tocca fasce di popolazione che nell’eterno presente non facevano statistica, come tanto tempo fa. La scuola pubblica statale restringe la sua offerta, orari e qualità comprese; intere parti del sistema di istruzione sono progressivamente passate nelle mani di agenzie private e chi può permetterselo prende in considerazione la scuola paritaria, perché garantisce ambienti più omogenei dal punto di vista sociale, orari a misura dei bisogni famigliari e l’attenzione che altrove non sempre trovano. Come tanti anni fa.

Allora la resurrezione fu una nuova scuola pubblica statale che venne costruita per rispondere ai bisogni di una società in vorticoso cambiamento. Anche nella didattica, nei metodi, nella valutazione, nella definizione del suo ruolo sociale. Prendiamo i servizi: nell’eterno presente i servizi sembravano cristallizzati. Esistevano perché semplicemente si era persa la memoria di quando non c’erano. Poi la lenta ma costante erosione: si cominciò con le analisi del sangue nei laboratori convenzionati, poi le visite specialistiche, poi i medici di famiglia con tanti diritti e doveri a schema variabile, e via verso la trasformazione in modello inglese di smantellamento della sanità pubblica.

Nel passato incombente siamo tornati a tanto tempo fa, quando c’erano le mutue aziendali che cementavano la comunità dei lavoratori fornendo loro servizi superiori a quelli che potevano avere con la mutua ordinaria. Poi l’istituzione del servizio sanitario nazionale riunificò i trattamenti garantendo a tutti la stessa sanità pubblica. Nel passato incombente siamo tornati alla sanità di classe, si chiama “assicurazioni”, quelle che ti permettono di usufruire di assistenza sanitaria privata anche di elevata qualità, un pezzo del salario come i buoni pasto al posto delle mense aziendali. Chi è fuori dal sistema o si trova ai suoi margini si aggiusta con servizi sanitari sempre più in affanno.

E che dire dei servizi quotidiani, dalle mense scolastiche ai trasporti? Aumento dei costi scaricati sugli utenti, privatizzazione sfacciata anche quando è economicamente svantaggiosa, accessibilità limitata con la tecnica dei dischi preregistrati, dagli appuntamenti impossibili da prendere, dall’anonimato in cui si trincerano gli addetti con la benedizione dei dirigenti, tutti senza responsabilità. Come tanti anni fa, quando l’individuo era ostaggio della pubblica amministrazione e, se abile, cliente di qualche politico per superare gli ostacoli e andare dalle “persone giuste”.

Nel tempo del passato incombente i poveri si chiamano di nuovo così e invece di diritti si offre elemosina, invece dei doveri si gridano insulti. Dal pentolone del passato incombente escono queste e altre cose, tutte consegnate a un passato che si sperava risolto e che, invece, ribollono in attesa che qualcuno ridia loro forma, dignità e rappresentanza. Alcune hanno la faccia dei Brunetta e degli Amato, altri sono un cocktail di parti dei tanti che hanno lavorato perché la modernizzazione del paese riproducesse la diseguaglianza che nell’eterno presente era colmata dai redditi famigliari delle generazioni passate. Il clima fuori controllo, una società sonnacchiosa e spenta, rancore, rabbia, sofferenza, pochi strumenti per fare fronte alla complessità del vivere. Come finirà questo passato incombente, nessuno lo sa, bisognerebbe studiare, ascoltare, elaborare e progettare un futuro diverso.

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