Nel 2042 il bacino dei potenziali lavoratori conterà 6,8 milioni di persone in meno. Mentre la popolazione non in età da lavoro (under 15 e over 64) registrerà una crescita di 3,8 milioni di persone e l’età media crescerà di 4 anni. Una ricerca della Fondazione di Vittorio della Cgil analizza le pesanti ripercussioni del declino demografico sul futuro del mercato del lavoro italiano. Come spiegato dal demografo Alessandro Rosina a ilfattoquotidiano.it qualche settimana fa, “nei prossimi 30 anni assisteremo a una riduzione di un terzo della popolazione in età attiva”.

L’effetto si fa sentire anche sul tasso ufficiale di occupazione che misurerà sempre più solo in parte l’effettivo andamento del mercato. Secondo i due ricercatori della Fondazione Beppe De Sario e Nicolò Giangrande, che firmano la ricerca, “la recente crescita del tasso di occupazione è un effetto ottico determinato solo in parte dalla crescita degli occupati e, in misura non trascurabile, dalla contrazione della popolazione in età lavorativa”. La diminuzione della popolazione “è un fenomeno ormai consolidato: le stime a vent’anni indicano infatti una riduzione della popolazione residente in Italia da 59 milioni del 2022 ai 56 milioni previsti nel 2042 (-3 milioni, -5%) e un aumento dell’età media da 46,2 anni a 50 anni.

La crisi demografica italiana avrà un impatto “sulla quantità dell’offerta di lavoro e sulla composizione anagrafica degli occupati con delle ripercussioni sulla produttività, sull’assistenza e sulla previdenza. Un’Italia priva dell’energia delle giovani generazioni sconterà nel medio e lungo periodo un deficit di crescita, non solo per il calo dei nuovi nati ma anche per le scarse capacità dimostrate finora dal nostro Paese di valorizzare gli immigrati e creare le condizioni per una loro integrazione e stabile permanenza”.

Il presidente della Fondazione Fulvio Fammoni ricorda che “mediamente ogni anno circa 100 mila persone emigrano dall’Italia verso l’estero, in cerca di un salario migliore ma anche di poter svolgere il lavoro per il quale si sono formati e che in Italia raramente gli viene proposto. Si tratta per circa un terzo di giovani in età compresa tra 25 e i 34 anni e con un’alta percentuale di laureati o con titolo di studio superiore. Peraltro, i dati dei trasferimenti anagrafici, come quelli degli iscritti all’Aire, sono fortemente sottostimati”. Altro aspetto fondamentale sono le politiche migratorie in ingresso. “Gli immigrati senza titolo valido di soggiorno presenti sul territorio nazionale ammontano mediamente a 5-600 mila persone. La sanatoria del 2021 ha raccolto circa 220mila domande in gran parte ancora non evase, ma non è difficile prevedere che da allora il bacino degli “irregolari per forza” che si preferisce mantenere in clandestinità e non far emergere per tornaconto di chi li sfrutta, si è ricostituito. Si precludono così diritti e condizione materiale di quelle persone ma si priva anche lo Stato di un importante quantità di risorse in tasse e contributi“.

Tra le proposte ci sono interventi “sulle condizioni di lavoro, sulla precarietà, sui salari e sul regime di orari” e modifiche “alle politiche migratorie in entrata e in uscita, sia numericamente che dal punto di vista dei diritti delle persone”. A questi vanno accompagnati altri interventi di natura più strutturale. “La caduta delle nascite (nel 2021 si scende sotto le 400 mila) è legata, oltre che all’andamento demografico della popolazione, a molti altri fattori tra cui mancate politiche di conciliazione, scarsità di servizi e concreti interventi a sostegno della natalità, ma la sua forte accelerazione va analizzata anche con un approccio diverso da quello tradizionale” sottolinea il rapporto. “L’aggravarsi di scenari sanitari, economici e sociali ha sempre giocato un ruolo fondamentale nelle scelte delle persone, provocando picchi particolarmente negativi di natalità. Si accentuano elementi di sfiducia verso il futuro di cui come è noto l’occupazione è un elemento fondamentale”.

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