L’ennesima, pretestuosa crisi di governo ha tutti i caratteri di un regolamento di conti, indifferente al destino del Paese. Ma, al di là delle opinioni su Mario Draghi e Giuseppe Conte, c’è un dato drammatico e innegabile che segna una distanza tragicomica della classe parlamentare dalla società civile. Nelle polemiche quotidiane, nei titoli dei giornali, nelle dichiarazioni melliflue o al vetriolo degli esponenti politici degli ultimi anni si è parlato di tutto (cene eleganti, privacy, immigrati, matrimoni omosessuali, vaccini, gestione della pandemia, equilibri della maggioranza, cambi di casacca continui, asterischi ed eliminazione della Nazionale), tranne del grande assente: il lavoro.

Viviamo in una crisi economica perenne da quattordici anni, resa ancora più drammatica dai due anni di pandemia. Il capitalismo sta evidentemente implodendo e ripiegandosi su se stesso, eppure nessuna forza politica di destra o di centro (la sinistra di fatto non esiste) parla di lavoro. La situazione è disperante.

Non a caso il lavoro sarà uno dei temi importanti della sesta edizione del Festival della Disperazione che si sta tenendo ad Andria fino al 27 luglio. Un festival che ospita alcuni dei nomi più in vista del panorama filosofico contemporaneo come Ilaria Gaspari e la coppia di Tlon, Maura Gancitano e Andrea Colamedici, intellettuali vulcanici come Guido Vitiello, artisti geniali come Ivan Talarico (tutte figure di cui vi ho già parlato su queste colonne); inoltre il programma presenta interventi che si preannunciano molto interessanti come quello di Alessandro Paolucci sugli esperimenti delle droghe di figure quali Walter Benjamin ed Ernst Jünger, ma soprattutto, per quello che riguarda il tema introdotto, affronta la tematica del lavoro attraverso le parole dello scrittore Luciano Bianciardi.

L’attore Vittorio Continelli, infatti, si cimenterà in un reading dal titolo ironico: “Non mi pagano abbastanza per leggere Pasolini, accontentatevi di Bianciardi”. Luciano Bianciardi è stato tra i primi scrittori a intuire, proprio negli anni del boom economico, la china pericolosa della mentalità capitalista dominante. Nel suo libro più celebre, La vita agra (che ispirerà l’omonimo film di Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi), con uno stile secco ed efficace al servizio di un realismo spietato, Bianciardi aveva denunciato l’ipocrisia sorridente del benessere nel Dopoguerra, puntando lo sguardo non solo sulle morti per incidenti sul lavoro, ma anche sulle conseguenze del consumismo sul valore dei rapporti umani.

Ecco, tra le tante, una delle riflessioni tratta dal libro di Bianciardi più profetiche sulla spirale autodistruttiva del consumismo:

È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al Giro d’Italia. Tutto quello che c’è di medio è aumentato, dicono contenti. E quelli che lo negano propongono però anche loro di fare aumentare, e non a chiacchiere, le medie; il prelievo fiscale medio, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera. Io mi oppongo.

Un autore da rileggere, le cui parole risuonano come un monito ancora più perentorio oggi che siamo nella curva decrescente di quel fenomeno socio-economico da lui descritto.

Segnaliamo inoltre con molto piacere come il Festival della Disperazione concluderà questa edizione con lo spettacolo della compagnia Teatro Koreja, scritto da Gianluigi Gherzi e Fabrizio Saccomanno – presentato in anteprima al Salone Off di Torino in occasione della Fiera internazionale del Libro – Alessandro, Un canto per la vita e per le opere di Alessandro Leogrande: una dedica a uno dei più grandi intellettuali della mia generazione, scomparso troppo presto, di cui vi consiglio vivamente di recuperare con urgenza le opere e gli interventi.

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