A pochi mesi dal loro inizio, i Mondiali in Qatar rimangono una delle edizioni più discusse della storia. A partire dalle accuse per le ripetute violazioni dei diritti umani verso i lavoratori impegnati nella realizzazione degli impianti alle spese sostenute dal piccolo Stato del Golfo. Il costo complessivo rende infatti questa Coppa del Mondo la più costosa della storia: circa 220 miliardi di dollari complessivi sono stati stimati per l’organizzazione di questa edizione, una cifra di gran lunga superiore rispetto a quelle spese nei Mondiali precedenti.

Oggetto di accese discussioni sono, inoltre, le motivazioni che hanno spinto il governo qatariota a investire così tanti fondi ed energie politiche nell’ottenere l’organizzazione del torneo. Certamente, si tratta innanzitutto di una questione di prestigio internazionale per uno Stato la cui popolazione non supera i 3 milioni ma le cui ambizioni lo portano a cercare di diventare un attore di gran peso internazionale su un svariato numero di settori.

Ciò nonostante, Doha da questi Mondiali non intende affatto limitarsi a spendere senza un ritorno. Anzi, le speranze del governo sono quelle di rendere la competizione un vero e proprio affare con un bilancio finale che risulti in attivo. A quanto ammontano le stime sui ricavi che il Qatar spera di incamerare con il torneo e, soprattutto, in quale modo spera di ottenerli? È difficile allo stato attuale poter fornire indicazioni precise che siano scevre dall’influenza governativa e dal lavoro di promozione che Doha sta attuando sull’organizzazione del torneo. Inoltre, le peculiarità dell’evento che si terrà in inverno su campi prevalentemente indoor inducono a un ulteriore prudenza in merito a quella che sarà la risposta a livello di pubblico e di seguito mediatico.

Il governo ha recentemente rivisto al ribasso gli introiti previsti, scendendo da 20 miliardi di dollari a 17. Il range a livello di visitatori stimato oscilla tra 1 e 1,5 milioni, numeri impressionanti che, senza dubbio, metteranno a dura prova la tenuta del settore turistico del piccolo Paese affacciato sul Golfo Persico. Sembra tuttavia un “capitale umano” insufficiente a generare una ricchezza che si avvicini alle stime.

In che modo, pertanto, il Qatar pensi di non andare in perdita rispetto ai faraonici investimenti profusi per questi mondiali? Per trovare una risposta a tale domanda occorre estendere il raggio d’azione ben al di là del semplice fattore sportivo. La gran parte dei fondi investiti da Doha relativi ai Mondiali, infatti, sono legati a infrastrutture non strettamente correlate alla kermesse sportiva. I Mondiali, in altre parole, costituiscono l’occasione per dare inizio a un boom edilizio volto a mutare completamente l’assetto del Paese. È stata persino progettata da zero una nuova città, Lusail, la quale ospiterà la finale del torneo. Si tratta naturalmente di una scelta non dettata dal caso, ma volta a utilizzare la manifestazione come vetrina per presentare il nuovo volto del piccolo emirato, a cominciare da una città nuova di zecca. Tali investimenti fanno parte del piano strategico “Qatar 2030” che da anni il governo di Doha sta perseguendo al fine di rendere il paese non più solo un grande esportatore di idrocarburi, bensì renderlo cruciale su molti altri aspetti economici, finanziari e politici di natura globale.

Sotto questo aspetto, la strategia qatariota verso i propri Mondiali è paragonabile più a quella che molti altri Paesi hanno tenuto verso le Olimpiadi. Solitamente, infatti, sono i Giochi a venir utilizzati come pretesto per un vero e proprio boost infrastrutturale e, si spera, economico. Considerate le ridotte dimensioni del Paese, quest’elemento appare ancora più radicale, similmente a quanto è stato per la Grecia con le Olimpiadi del 2004 (ovviamente Doha confida su risultati decisamente diversi da quelli ottenuti a suo tempo da Atene).

Pertanto, per capire se i 200 e rotti miliardi di dollari investiti dal Qatar siano un investimento a perdere o meno sarà necessario verificare l’andamento dell’economia di qui ai prossimi anni. Dopo un 2020 in passivo causato dalla pandemia, nel 2021 il Pil del Qatar è cresciuto dell’1,5%. Tuttavia, sono ben altri i numeri a cui Doha aspira, ossia le performance tra il 2003 e il 2010, con picchi di crescita del Pil annuale attestati a più del 26%. In quell’occasione, fu proprio il boom infrastrutturale uno dei fattori scatenanti della crescita esponenziale dell’economia qatariota del tempo.

Doha, quindi, confida di poter ottenere risultati simili, se non persino migliori, con questa nuova ondata di investimenti infrastrutturali volti a diversificare ulteriormente l’economia qatariota, ancora oggi fortemente legata all’esportazione di petrolio e gas. Si tratta di una scommessa il cui esito potrà essere scoperto solo tra diversi anni. Ciò che è certo, al momento, è che la visione da parte qatariota verso i suoi mondiali è certamente ben diversa rispetto alla narrazione ricorrente di un costoso capriccio da parte di autocrati annoiati.

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