Gli organi del corpo umano piu’ utilizzati dal piccolo imprenditore del nostro paese sono il naso, la pancia ed il cervello.

Volendo valutarne l’incidenza, sulla base della esperienza trentennale con l’homo entrepreneur, potrei sostenere che nelle decisioni aziendali il naso incide per il 60%, la pancia per il 20% e l’emisfero destro del cervello, la parte logica e razionale dell’organo cerebrale, per il 10%.

Arriviamo subito al sodo: il naso potete turarlo, non serve più’ come nel passato!

In passato le piccole-medie aziende (95% del tessuto produttivo italiano) decidevano con intuito imprenditoriale (fiuto) e pochi dati e informazioni. Gli alti livelli di domanda di beni e servizi permettevano di ottenere buoni margini di utile, consentendo all’azienda di sopravvivere anche in mancanza di competenze tecniche o analisi del mercato. Oggi la gestione aziendale è diventata più complessa perché nei mercati c’è sempre più competizione riducendo margini e utili. Per gestire l’Azienda, indipendentemente dalla dimensione, bisogna avere organizzazione, efficienza, decisioni tempestive e consapevoli attraverso un metodo di lavoro standardizzato.

Certo che anche in passato questi fattori erano importanti ma oggi, se mancano, è in pericolo il futuro dell’Azienda. Se continuate ad utilizzare “solo” il naso per fare azienda, siete destinati al default!

Per gli altri due organi (cervello e pancia) forse, però, dovremmo chiederci se la nostra eccessiva e, allo stato, recuperata attenzione alla digitalizzazione, ai modelli, alle teorie, se tutto il nostro investimento cognitivo, razionale sugli strumenti hanno senso, servono, sono utili e portano valore.

Dovremmo domandarci se la sola razionalità manageriale è sufficiente per guidare un’azienda. Se i business plan, i budget, i modelli di customer experience, le indagini retributive ecc. sono gli unici strumenti a cui affidare il futuro delle nostre imprese. O se dedicare un po’ di tempo, attenzione ed energie anche al “resto” può essere cosa buona e giusta.

Perché, poi alla fine, è la “pancia collettiva” che produce forza, energia, slancio al comportamento umano. Sono le emozioni, l’adrenalina, il sognare la vittoria, la rabbia che moltiplicano le energie, che fanno diventare le cose difficili quasi semplici, che trasformano il sogno impossibile in azioni tutto sommato realizzabili. È la pancia, l’energia non razionalizzabile che è in noi, lo strato di emotività che ricopre e guida le nostre competenze.

Prendiamo, ad esempio, il business plan, diventato ormai obbligatorio per l’analisi del merito creditizio, come simbolo della razionalità “senza pancia” che domina le nostre organizzazioni. Uno strumento fantastico, che consente di mettere nero su bianco tutti gli elementi di costruzione del futuro, che sa sottolineare le criticità e le condizioni di successo del pensiero strategico.

Quanti documenti di questo genere, costruiti con competenza e sofisticazione analitica (non le favole prodotte negli ultimi 20 anni), abbiamo potuto scorrere, leggere e valutare? Quanti i casi in cui questi navigatori di strategie hanno sortito effetti concreti, hanno “trascinato” le persone verso la realizzazione del percorso individuato e programmato?

E quanti i casi in cui le centinaia di slide colorate e affascinanti in cui il business plan è raccontato tarpano le ali al sogno, invece di renderlo realistico e di regalargli maggiori probabilità di successo?

Sono documenti che, finora, hanno tentato di razionalizzare, ma non hanno mai toccato la pancia degli imprenditori. Sono documenti che raccontano in maniera fredda le cose da fare, ma non smuovono le emozioni. Sono documenti che spiegano il futuro, ma non faranno sognare.

Sull’onda della razionalità, consapevoli che il fondatore dell’azienda continuerà ad utilizzare solo il naso (né potremmo pretendere di cambiare abitudini radicate geneticamente), vorremmo allenare le nuove generazioni di piccoli imprenditori alla rimozione dei sentimenti.

Ma i manager reali, quelli che incontriamo tutti i giorni in azienda, devono saper fare i conti con le emozioni, le proprie e quelle dei propri collaboratori, devono saperle usare e guidare, devono farne uno strumento di lavoro da affiancare alla razionalità. E allora, perché non abbandonarsi all’idea di seguire la pancia e di usare le emozioni per costruire e gestire meglio anche un business plan?

Contrariamente a quello che gran parte dei piccoli imprenditori pensa, agli strumenti è preclusa la possibilità di dare di più rispetto a quello per cui sono stati progettati. Sono le persone con i loro desideri, le loro aspettative che possono creare idee e forze nuove, modificare lo strumento, identificare opportunità di cambiamento. È il riscaldamento delle emozioni, il potenziamento indefinito (ma non infinito) delle personalità che attiva la vita organizzativa, rendendola più vera, più “calda”, più densa di energia.

Se chiedo ad un imprenditore: “avete un sistema di controllo di gestione?”, mi sento spesso rispondere: “si, abbiamo comprato un software molto costoso ma che nessuno utilizza!”

La vera sfida del piccolo imprenditore si basa sul paradosso di saper far convivere, in azienda, l’attivazione emotiva delle azioni e l’uso razionale delle emozioni.

L’emozione racchiude intenzione, percezione, filtro e barriera allo stesso tempo. Inutile soffermarsi sulla distinzione tra emozioni buone e cattive: tanto la rabbia quanto l’affetto alimentano l’agire umano. La cosa che rileva è poter e saper guidare le emozioni verso una direzione precisa, la direzione voluta, senza essere travolti in quelle situazioni gestite dal naso.

Ho incontrato tante piccole realtà che non avevano acquistato il software costoso ma con un semplice foglio di calcolo sapevano impostare un artigianale ma efficace processo di controllo di gestione. In quelle piccole strutture gestire le emozioni vuol dire saper ragionare con la pancia: legarle a qualcosa di funzionale, e usarle come delle leve per arrivare più facilmente agli obiettivi definiti, per raggiungere lo scopo per il quale si sta lavorando.

Quanto mi piacciono le partite in cui i “talenti” sono sconfitti dagli “appassionati”!

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