La cordata composta da WeBuild, Fincantieri, Fincosit e Sidra si sfila dalla gara per la costruzione della nuova diga foranea del porto di Genova, una delle maggiori infrastrutture finanziate dal Recovery fund. Mercoledì, alla vigilia della scadenza del termine per le offerte dell’appalto integrato sulla prima parte dell’opera, dal valore di 929 milioni di euro, i colossi dell’edilizia si sono ritirati con una lettera inviata a Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità di sistema portuale di Genova e Savona (la stazione appaltante) nonché commissario straordinario per la realizzazione della diga. Il consorzio, uno dei soggetti a cui Signorini aveva inviato la manifestazione di interesse, ha spiegato che a causa degli extra-costi dovuti al caro-materiali non ci sono più le condizioni per presentare un’offerta secondo i termini di gara, definiti prima dello scoppio della guerra in Ucraina. E il mattino dopo anche l’altra cordata invitata, formata da Eteria (Gavio-Caltagirone), Rcm e Acciona ha fatto lo stesso, lasciando quindi l’asta deserta, come si temeva da settimane. Da cronoprogramma l’apertura delle buste era prevista per luglio e l’apertura dei cantieri fissata a inizio 2023: ora però il rischio che tutto debba ricominciare da capo si fa concreto.

Il nodo sono proprio gli extra-costi: l’8 giugno la presidente nazionale dell’Associazione costruttori edili (Ance) Federica Brancaccio aveva scritto a Signorini lamentando che l’importo base di gara fosse sottostimato rispetto ai costi reali, a causa della necessità di eseguire i lavori in mare aperto (un inedito), ma anche dell’aumento dei prezzi delle materie prime e dei tempi stretti previsti la costruzione. E proprio per questo aveva ventilato il rischio che la procedura andasse deserta. Il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, dal convegno dei Giovani di Confindustria a Rapallo, aveva replicato rassicurando che eventuali extra-costi si sarebbero potuti assorbire con meccanismi di correzione e adeguamento in corso d’opera. Ma alle imprese non basta: la loro richiesta, per far sì che l’opera possa essere realizzata, è di rivedere in partenza le condizioni del bando. D’altra parte in tutta Italia gli enti locali vedono ormai andare regolarmente deserte gare per opere grandi e piccole, in un quadro che fa temere per l’attuazione del Pnrr.

Ora l’amministrazione lavora per salvare la situazione con un’integrazione economica al bando: allo studio ci sono diverse soluzioni, tra cui la più probabile è quella di una trattativa negoziata. “Noi andremo avanti in ogni caso e sarà l’autorità portuale a definire come proseguire”, dice il sindaco di Genova Marco Bucci: “Capisco le difficoltà di chi deve affrontare una gara dove si sa in partenza che la cifra non è sufficiente con l’incremento dei prezzi delle materie prime che abbiamo avuto, la situazione è difficile a causa delle dinamiche internazionali ma d’altra parte il governo ha detto che troverà soluzioni e, alla fine si andrà avanti”, rassicura. I costruttori però non sembrano altrettanto fiduciosi: “La rinuncia delle due cordate di imprese che avrebbero dovuto partecipare alla gara per realizzare la più grande opera pubblica degli ultimi trent’anni, per un valore di oltre un miliardo, al di là dell’effetto devastante sulla credibilità anche internazionale di Genova e del suo porto, allunga ombre sulla fattibilità di gran parte delle opere inserite nel Pnrr e sulla capacità dei soggetti pubblici di mettere a punto progetti tecnici credibili e affidabili. Il caso diga rischia di provocare un’onda d’urto devastante, con effetti drammatici sulla credibilità del sistema Italia”, dice il presidente di Ance Liguria Emanuele Ferraloro.

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