Non solo l’ulteriore proroga dell‘appalto integrato, l’innalzamento fino al 2023 delle soglie per gli affidamenti diretti e le procedure negoziate senza bando, la progressiva liberalizzazione del subappalto (anche se con paletti che dovrebbero tutelare i lavoratori) e il dimezzamento dei tempi per la valutazione di impatto ambientale. Per velocizzare la realizzazione di dieci opere “di particolare complessità o rilevante impatto” – tra cui la costosissima alta velocità Salerno-Reggio Calabria – da finanziare con le risorse del Recovery e del fondo complementare, il decreto Semplificazioni pubblicato martedì in Gazzetta ufficiale prevede una corsia ultraveloce con tempi contingentati per ogni step e addirittura un comitato speciale ad hoc in seno al Consiglio superiore dei lavori pubblici. Insomma la madre di tutte le semplificazioni, con l’obiettivo di ridurre all’osso tempi di realizzazione che in era pre Covid arrivavano in media, per le opere da oltre 100 milioni di euro, addirittura a 15 anni e 8 mesi di cui la metà per colpa di lungaggini amministrative.

In base al testo approvato dal governo Draghi i progetti che avranno diritto alla “procedura speciale” sono dieci, tutte già commissariate per decisione del governo Conte 2. Sei riguardano direttrici ferroviarie: innanzitutto l’Av Salerno-Reggio, che per un costo superiore ai 20 miliardi (e solo il primo lotto da 1,8 sarà coperto dal Next Generation Eu) dovrebbe ridurre di 60 minuti il tempo di percorrenza tra i due capoluoghi del Sud, poi l’asse ferroviario Palermo-Catania-Messina, la linea Battipaglia-Potenza-Taranto, la Roma-Pescara, il potenziamento della linea Verona-Brennero e della Orte-Falconara. Chiudono l’elenco la diga di Campolattaro in Campania, la messa in sicurezza del sistema idrico del Peschiera in Lazio, il potenziamento del Porto di Trieste e la diga foranea di Genova. Ma è probabile che, in fase di conversione del decreto, il Parlamento allunghi ulteriormente la lista. E allora vale la pena capire come funziona questa corsia veloce.

Per prima cosa è prevista appunto l’istituzione fino a fine 2026 – l’orizzonte dei progetti del Piano di ripresa e resilienza – di un comitato speciale del Consiglio dei lavori pubblici composto da sei dirigenti pubblici dei ministeri e della presidenza del Consiglio, tre professionisti scelti dalla Conferenza unificata, tre dagli ordini professionali, tredici docenti universitari, un magistrato amministrativo, un consigliere della Corte dei conti e un avvocato dello Stato. Questa struttura, tra stipendi dei membri (980mila euro l’anno complessivi a regime), struttura di supporto e eventuali convenzioni con controllate pubbliche, costerà 2,7 milioni l’anno. I 28 partecipanti avranno 15 giorni per valutare se il “progetto di fattibilità tecnico-economica” trasmesso dalla stazione appaltante presenta “evidenti carenze“, incluse quelle che riguardano “gli aspetti ambientali, paesaggistici e culturali“. Se è tutto a posto, ci saranno 30 giorni per esprimere un parere (in caso di problemi il documento verrà rispedito al mittente per modifiche da fare entro 15 giorni). Il parere della Soprintendenza, da esprimere in non più di 45 giorni, e la valutazione di impatto ambientale, così come gli esiti del dibattito pubblico la cui durata è contingentata a 30 giorni, saranno acquisiti direttamente nella Conferenza dei servizi convocata dalla stazione appaltante, che sarà ovviamente svolta “in forma semplificata”.

La determinazione conclusiva della conferenza chiamata ad approvare il progetto “perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa tra Stato e regione in ordine alla localizzazione dell’opera” e ha anche “effetto di variante degli strumenti urbanistici vigenti“. Se emerge un dissenso, in linea con la ratio dell’intero decreto va superato senza indugi: entro cinque giorni la questione viene sottoposta di nuovo al comitato speciale che propone alla stazione appaltante di fare le dovute integrazioni e modifiche al progetto. Non si trova una soluzione condivisa? La palla passa alla Segreteria tecnica di supporto alla Cabina di regia del Recovery in via di costituzione a Palazzo Chigi e da lì, previa proposta al premier, direttamente al consiglio dei ministri “per le conseguenti determinazioni“. Insomma: alla fine decide il governo. Le decisioni prese in quella sede saranno immediatamente efficaci e “non sottoposte al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti“. Di lì in poi la stazione appaltante ha novanta giorni per indire la gara. Non lo fa? Scattano i poteri sostitutivi. E si torna al consiglio dei ministri.

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