In un quadro internazionale che resta segnato da fenomeni tragicamente negativi quali le guerre, il degrado ambientale e le pandemie, l’ultimo fine settimana ci ha regalato due momenti di ossigeno e di speranza.

Il primo è la splendida vittoria raggiunta dai candidati del Pacto Histórico, Gustavo Petro e Francia Márquez, alle elezioni presidenziali colombiane. Si tratta davvero di un passaggio epocale, perché questa vittoria è stata ottenuta contro nemici potenti e spietati e cioè l’oligarchia terrateniente colombiana in buona parte riconvertita al narcotraffico che consente profitti astronomici, le multinazionali cui è stato consentito da sempre di saccheggiare le enormi risorse naturali del Paese e l’Impero statunitense, che nei governi parafascisti che si sono succeduti in Colombia ha sempre avuto alleati fidati, al punto che il Paese è l’unico in America Latina ad essere stabilmente associato alla Nato. Questa coalizione esercita da molto tempo un dominio cieco e sanguinario sul Paese coll’uccisione, solo negli ultimi tre anni, di centinaia di colombiani e colombiane, massacrati nelle piazze dalla famigerata polizia antisommossa Esmad o giustiziati dai killer del paramilitarismo uribista.

La violenza selvaggia è sempre stata un tratto caratteristico delle classi dominanti colombiane e ora il programma molto avanzato di trasformazione sociale ed economica elaborato da Petro, Francia e dal loro schieramento dovrà fare i conti anche coll’abitudine dei loro antagonisti a praticare l’assassinio, la tortura e la brutale repressione. Ciò comporta la necessità di sviluppare e qualificare ulteriormente il grande movimento popolare che ha preceduto e accompagnato la vittoria del Pacto Histórico, democratizzando e riorientando le Forze armate e quelle dell’ordine.

Urgente pare anche la necessità di procedere a una ridefinizione del ruolo internazionale del Paese, che da almeno vent’anni si presta tristemente a fungere da piattaforma per infiltrazioni terroristiche ai danni del Venezuela bolivariano e chavista. Tale compito sarà certamente agevolato dal riallineamento dell’intera regione latinoamericana verso l’autonomia strategica dagli Stati Uniti, che riceverà senza dubbio un ulteriore decisivo impulso coll’immancabile ritorno di Lula alla presidenza del Brasile nel prossimo ottobre.

L’altra buona notizia che ci reca il fine settimana è poi quella della grande affermazione del leader della sinistra francese Melenchon e della sua formazione Nupes al secondo turno delle elezioni politiche francesi. Molto importante appare in particolare la circostanza che tale vittoria sia avvenuta, sottraendogli il controllo dell’Assemblea nazionale, sul presidente Macron, icona vivente del neoliberismo peggiore e sostanzialmente succube della Nato e degli Stati Uniti, nonostante qualche periodico parziale ripensamento d’occasione.

La vittoria di Melenchon, cui solo l’imperdonabile dabbenaggine di determinate forze della sinistra francese ha impedito ad aprile di accedere al ballottaggio presidenziale con Macron che sarebbe probabilmente riuscito a sconfiggere, dimostra come anche nella vecchia Europa, usa al servile ossequio verso Washington e verso il potere economico, sia possibile immaginare un’alternativa radicale, oggi più che mai urgente per dare conforto a un popolo sempre più bistrattato a tutti i livelli da oligarchie politiche attente esclusivamente a soddisfare i desideri delle lobby.

Due lezioni che ci riguardano davvero da vicino. Esse infatti pongono all’ordine del giorno la possibilità di riconsegnare alla cittadinanza la sfera politica, oggi invasa da personaggi in cerca solo di cospicui redditi di cittadinanza a spese del pubblico erario. Cacciare questi mercanti da quel tempio, estromettendo dal potere decisionale i commessi viaggiatori del grande capitale e della Nato, è possibile anche nel nostro Paese, ma richiede che si affronti insieme un cammino dal basso, che potrebbe essere lungo e faticoso ma non deve per questo spaventarci o indurci a stati di apatia e depressione.

Riprendere il cammino dell’alternativa costituisce un imperativo urgente per l’Italia e tutta l’Europa. I prossimi giorni, a partire dalla discussione della mozione parlamentare sulla guerra in Ucraina, saranno decisivi: occorre auspicare che sia finalmente sgombrato il campo dal dannoso equivoco costituito dal governo di Mario Draghi, le cui intuizioni in materia di quantitative easing sono oggi purtroppo sconfessate dai poteri decisionali europei a partire dalle signore Lagarde e von der Leyen, la quale si presenta invece, insieme allo stesso Draghi, come sempre più votata al più becero atlantismo all’insegna di una sempre più improbabile vittoria militare ucraina.

Draghi e i suoi ministri diversamente competenti devono andare a casa e non certo per essere sostituiti dalla destra neofranchista di Giorgia Meloni, il cui recente intervento in Spagna costituisce un documento davvero impressionante per il suo carattere reazionario e retrivo. Anche in Italia insomma, come ieri in Colombia e in Francia, potrebbe presto suonare l’ora dell’alternativa. Occorre preparare tale evento colla massima cura e dedizione.

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