Tra le decisioni dell’ultimo Consiglio Europeo merita particolare attenzione la sicurezza alimentare. L’Unione Europea si è posta alla testa di una risposta multilaterale ad una crisi che potrebbe assumere aspetti catastrofici in vaste aree del nostro pianeta. Non è un fatto secondario né scontato, segno di un progressivo avanzamento dell’Unione Europea quale attore politico globale. Ma soprattutto, non è scontato alla luce di ciò che sta avvenendo sul piano internazionale.

La crisi alimentare generata dalla guerra in Ucraina e gravemente peggiorata da fenomeni climatici estremi in aree chiave per la produzione agricola ha ricevuto risposte per lo più controproducenti. Molti paesi hanno infatti optato per soluzioni protezioniste, che hanno fatto aumentare ulteriormente i prezzi, provocando ulteriori carenze di derrate alimentari in un contesto già drammatico di per sé. Per cui, nell’assenza di una risposta globale, l’appello del Consiglio ad una cooperazione internazionale efficace e il mandato affidato alla Commissione a mobilitare le riserve del Fondo di sviluppo europeo assumono un ruolo cruciale. In questo quadro, lo stimolo fornito alle iniziative del World Food Program e il supporto al gruppo di risposta alle crisi globali delle Nazioni Unite rappresenta l’aspetto operativo di scelte che vengono spesso criticate per rimanere soltanto sulla carta.

Chiaramente sullo sfondo rimangono due problemi complessi che vanno risolti nel più breve tempo possibile. Uno ha carattere contingente e l’altro strutturale. Mi riferisco rispettivamente alla guerra in Ucraina e al cambiamento climatico.

Riguardo alla guerra l’Europa finora è riuscita a mantenere un’unità insperata contro la brutale aggressione mossa da Putin ai danni di un paese sovrano e indipendente. E’ corretto attribuire al conflitto, oltre agli intollerabili crimini di guerra a cui abbiamo assistito, una responsabilità primaria nella crisi del cibo. In questo senso, è positiva l’azione del governo italiano, in seno al Consiglio Europeo e non solo, diretta a trovare delle soluzioni temporanee per alleviare una crisi che rischia di avere un effetto domino catastrofico, aprendo i porti del Mar Nero e consentendo al grano ucraino di rifornire il mercato.

Un’azione positiva, ma non sufficiente. Bisogna rispondere all’appello dell’Unione Africana e istituire sul piano globale un fondo, finanziato dai paesi più ricchi, per erogare crediti ai paesi più poveri. Bisogna alleviare i costi dei rincari dovuti alla guerra e consentire loro di acquistare il grano a prezzi abbordabili. E’ importante, inoltre, collocare la soluzione dell’impasse sul grano ucraino e lo sblocco dei porti all’interno della soluzione diplomatica della guerra nel suo complesso, un inevitabile passaggio intermedio che tenga conto della realtà sul terreno, dei diritti di proprietà ucraini e delle necessità globali.

La seconda problematica ha invece radici più antiche ed è possibilmente ancora più complessa da risolvere. Riguarda il cambiamento climatico e le sue conseguenze. Alcuni fenomeni estremi, come le più violente ondate di calore mai registrate in India e Cina o il quarto anno di siccità estrema nel Corno d’Africa, estremizzano gli effetti della guerra sulla sicurezza alimentare. Non è corretto parlare di tempesta perfetta. Darebbe l’idea di un evento occasionale, straordinario. Non è così. Gli eventi climatici estremi continueranno e peggioreranno, secondo quanto ci ha dettagliatamente descritto il panel intergovernamentale sul cambiamento climatico dell’Onu negli ultimi mesi. Per questo, la prossima conferenza sul clima appare così cruciale.

So che sembra lunare discutere di una conferenza del genere nel momento in cui le tensioni geopolitiche sembrano prendere il sopravvento sulle ragioni della cooperazione. Ma è proprio dalle ragioni della cooperazione che si possono alleviare le tensioni internazionali e – soprattutto – affrontare la sfida esistenziale del nostro tempo.

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