Esce il 21 maggio in contemporanea in molti Paesi VOLODYMYR ZELENSKY. Lottare per il futuro, la biografia internazionale del leader ucraino, con testimonianze e contributi di amici, colleghi, membri del suo entourage ed esponenti dell’opposizione, oltre che di storici, politologi e giornalisti di primo piano. A curarla è Gallagher Fenwick, giornalista che ha coperto come inviato molti fronti di guerra e diretto la redazione in lingua inglese di France 24. L’edizione italiana è pubblicata da Libreria Pienogiorno. I diritti d’autore saranno devoluti all’associazione MICT, per il sostegno dei rifugiati della guerra in Ucraina.

«Forse non ve lo dovrei dire, ma in realtà la candidatura di Zelensky era già stata presa in considerazione nel 2014. Pare che all’epoca abbia rifiutato». Sono le parole del più giovane deputato mai eletto alla Verchovna Rada, il Parlamento ucraino. Svjatoslav Juraš, membro del partito del presidente, riconosce che intorno alla genesi della campagna elettorale di Zelensky circolano versioni «divergenti» perfino nella sua cerchia più stretta.

Chi è stato il primo ad avere l’idea? In quale momento? Quando è stata presa la decisione di lanciarsi? Le risposte sono spesso vaghe o contraddittorie. La cosa non stupisce, visto il carattere assolutamente inedito di una campagna in cui reale e virtuale si mescolano a tal punto che diventa difficile distinguere la verità dalla finzione.

A questo va aggiunto un uso strategico dell’ambiguità riguardo alle intenzioni di Zelensky. Si tratta in definitiva di un approccio inedito, al tempo stesso geniale e destabilizzante. Ci sono però alcuni fatti che sono facilmente verificabili che hanno segnato questa avventura politica fuori dal comune.

La rivoluzione di Majdan del 2014 ha lasciato un segno in Zelensky, ma anche all’interno della società civile. La presunta «russofilia» del comico comincia allora a suscitare una certa diffidenza tra gli ucraini, mentre in Russia, dove è molto famoso, la popolazione gli testimonia un grande affetto. […]

Dopo l’invasione russa del Donbass, Zelensky fatica a staccarsi del tutto dalla Russia, ma questo suo legame con entrambi i Paesi diventa inaccettabile, e il fatto di essere un comico non rappresenta più una scusante. Nell’Ucraina postrivoluzionaria, infatti, nessuno può dichiararsi apolitico come Zelensky aveva cercato di fare il 31 dicembre 2013, in pieno fervore insurrezionale. Quella sera partecipa a un grande spettacolo di Capodanno nella capitale, il Quartiere della sera, ed è impossibile non fare riferimento agli eventi in corso. Come al solito, lui e i colleghi di Kvartal 95, la sua casa di produzione, cercano di mettere tutto quanto in ridicolo, ma alcune delle battute sui manifestanti non sono affatto apprezzate, in particolare quelle che riguardano la violenza delle forze speciali, le Berkut.

«Il Quartiere della sera è il palco da cui possiamo esprimerci» si giustifica Zelensky in un’intervista. «Vogliamo sostenere i manifestanti con l’umorismo, bisogna poter scherzare liberamente sulle autorità e sull’opposizione, senza avere paura di nessuno. Ero lì il giorno dopo quei fatti [la dispersione dei manifestanti di Majdan il 30 novembre, ndr]. Intendo dire che sono dalla parte del popolo, non delle promesse delle autorità o dell’opposizione».

Secondo il giornalista che lo ha intervistato, il comico ha poi affermato che la violenza è estranea alla mentalità ucraina e che era molto felice di vivere in un Paese in cui le manifestazioni sono pacifiche.

Emerge una sorta di distacco, un’ambivalenza, una difficoltà di Zelensky nel prendere posizioni chiare su un tema scottante che divide la nazione e il popolo. Il deputato Svjatoslav Juraš prova a spiegarla con la provenienza geografica: «Per chi, come me, viene dall’ovest dell’Ucraina è chiarissimo che la Russia è il nemico. Fin dall’infanzia ci viene inculcata questa idea. Ma Zelensky è cresciuto nell’est. Lì le persone hanno legami molto forti con la Russia, hanno parenti che ci abitano e durante le vacanze vanno a trovarli. Inoltre fra loro parlano russo. Vedono le cose in modo diverso, e per loro è più difficile rompere i rapporti con la Russia e accusarla di voler distruggere il nostro Paese».

Zelensky si trova proprio in Russia quando in Ucraina la situazione precipita e si raggiunge il culmine della tensione con l’annessione della Crimea e l’inizio della guerra nel Donbass, nei primi mesi del 2014. Volodymyr decide però di non rinunciare ai suoi progetti lavorativi. La sua presenza sui set cinematografici in terra nemica non passa inosservata e, pur avendo sempre cercato di tenersi lontano da simili situazioni, il comico si ritrova al centro di una polemica. I suoi connazionali lo accusano di nascondersi in Russia per evitare di essere richiamato alle armi, mentre l’esercito regolare è in seria difficoltà di fronte ai separatisti russi. Zelensky torna quindi in patria e, approfittando della conferenza stampa per promuovere un nuovo programma, dichiara ai giornalisti del Paese: «Cosa farò se dovrò arruolarmi? Se ci sarà bisogno andrò in guerra!». La madre dell’artista ammette di aver ricevuto una convocazione alle armi per il figlio a Kryvyj Rih, dove Volodymyr è nato e cresciuto e dove ha imparato a battersi quando necessario. Tuttavia, stando a chi lo conosce bene, Zelensky è profondamente pacifista.

Per il regista russo-americano Maryus Vaysberg si tratta di una situazione «spiacevole». È proprio sul set di uno dei suoi film che Zelensky è stato fotografato in Russia alcune settimane dopo la fuga dell’ex presidente Janukovyč. Durante un’intervista a una testata russa, il cineasta spiega di aver girato varie commedie romantiche con Zelensky, definendolo «un amico». Dalle sue risposte si intuisce il conflitto interiore che il comico vive in quel momento, pur senza esprimerlo pubblicamente. L’intervista si conclude con questa affermazione di Vaysberg: «Zelensky non vuole smettere di collaborare con la Russia. Ama i russi. Tutto lo lega alla Russia. Ha vissuto a Mosca per cinque anni, lavora con i russi. E quello che gli sta succedendo è un caso montato ad arte».

L’intervista risale all’agosto del 2014. Poco dopo, in realtà, Zelensky giura pubblicamente che non terrà più spettacoli in Russia: vuole riprendere il controllo della sua carriera e trasformare la crisi in opportunità. Inizia quindi con il chiarire la sua posizione sui social:

Non è una sorpresa per nessuno che oggi nel nostro Paese e all’estero sia in corso una guerra dell’informazione su ampia scala che ha un impatto su tutti gli aspetti della nostra vita. I metodi usati in questa guerra hanno da tempo superato i limiti della morale e della logica. Circolano molte notizie false e assurde allo scopo di screditare le persone e distorcere i fatti. L’altro giorno, su internet, è stato pubblicato un articolo in cui si affermava che mi nasconderei in Russia per non essere arruolato nell’esercito. Mi rivolgo agli autori senza scrupoli di queste «notizie»: sappiate che sono a Kyïv, dove insieme alla squadra di Kvartal 95 sto preparando una nuova stagione di progetti televisivi. Prima ero effettivamente in Russia, sul set del film 8 First Dates. Le riprese si sono concluse con successo a inizio giugno. Vi voglio bene, amici miei. Siate sereni e prendetevi cura gli uni degli altri! […]

Insieme ad alcuni membri di Kvartal 95, Zelensky si esibisce gratuitamente davanti a 1500 soldati in una base militare a Mariupol, vicino alla regione del Donbass, dove si sta svolgendo l’ATO, ovvero l’operazione antiterroristica dell’esercito ucraino contro le milizie delle repubbliche popolari di Doneck e Lugansk. L’intento è quello di risollevare il morale delle truppe che si battono contro i separatisti filorussi, e i comici ne approfittano per vedere i posti di blocco e chiacchierare con i soldati della guardia nazionale, felici di ricevere la visita di simili celebrità. Durante lo spettacolo, gli artisti criticano la classe politica e affermano: «La gente semplice come voi lavora sodo. Abbiate cura di voi! Siamo fieri di vivere nel vostro stesso Paese!».

Poi Kvartal 95 dona un milione di grivnie – circa 30.000 euro – al battaglione Donbass, che ringrazia la compagnia e dichiara che utilizzerà il denaro per acquistare mezzi di comunicazione satellitari ed elmetti in kevlar. In seguito a questa donazione Zelensky sarà oggetto di una richiesta di indagine da parte dei deputati della Duma, il Parlamento russo, allo scopo di «determinare il [suo] grado di partecipazione nel finanziamento dell’operazione punitiva nel Donbass» che, secondo i politici russi, «presenta tutte le caratteristiche di un genocidio».

Questa dichiarazione contribuisce a riabilitare l’onore del comico agli occhi dei connazionali e fa sì che quasi tutte le polemiche si spengano. Finalmente Zelensky può dedicarsi alla sceneggiatura di Servant of the People.

Benché la serie sia in lingua russa, per molti aspetti si tratta soprattutto di un progetto patriottico: sarà infatti interamente girata in Ucraina con risorse e personale locali. In un settore audiovisivo dominato dalle produzioni russe, l’équipe al cento per cento ucraina di Kvartal 95 ha finalmente l’opportunità di dimostrare la propria competenza e la capacità di soddisfare gli standard del potente vicino. In effetti con il passare degli anni, su iniziativa di Zelensky, la casa di produzione si è arricchita di nuovi talenti. L’idea della serie è quella di descrivere l’Ucraina per ciò che è, senza troppi tabù: di raccontare il Paese al Paese. L’oligarca Ihor Kolomojs’kyj fornisce a Kvartal 95 una piattaforma perfetta: 1+1, uno dei principali canali televisivi della nazione, dando agli artisti carta bianca. Zelensky, attore, produttore e sceneggiatore, è ovunque: programmi di varietà, film, spettacoli… Inanella un progetto dopo l’altro. Dal 2016 il gruppo ha perfino un proprio canale televisivo, Kvartal TV11. Ma il suo più grande successo è senza dubbio Servant of the People, in cui si fa beffe dei potenti, a partire da Vladimir Putin. Il comico torna così a essere il beniamino del pubblico ucraino e inizia a fare politica senza che nessuno se ne accorga.

Il 13 aprile 2016, quattro mesi dopo il successo della prima stagione di Servant of the People, seguita da milioni di telespettatori, viene registrato presso le autorità competenti un nuovo partito politico, il «Partito del cambiamento decisivo». Mancano poco meno di tre anni alle vittoriose elezioni presidenziali del 31 marzo 2019, e in pochissimi collegano il nome del nuovo gruppo politico a Zelensky o alla sua casa di produzione. […]

A tre anni dall’elezione, a inizio febbraio 2022, durante la conferenza stampa a margine del suo incontro al Cremlino con il presidente francese Macron, a proposito di una possibile revisione del protocollo di Minsk richiesta dall’Ucraina, Vladimir Putin dichiara: «Che ti piaccia o no, bella mia, bisognerà sopportarlo». La frase viene interpretata in vari modi. Secondo alcuni è un riferimento alle parole oscene di un brano di un gruppo punk rock della città di Jalta, altri pensano che si sia invece ispirato a una canzoncina a tema «necrofilo degli anni Settanta, che all’epoca era in voga tra i ragazzi». Il portavoce del Cremlino nega, ma in ogni caso le parole di Putin evocano l’idea di una sottomissione, di uno stupro. Zelensky reagisce il giorno successivo, con le sue armi preferite, il senso dell’umorismo e il plurilinguismo:

Parlerò in russo per essere sicuro che l’autore di questa citazione comprenda la mia risposta. Per quanto riguarda il protocollo di Minsk… «Che ti piaccia o no, bella mia, bisognerà sopportarlo»… Ovviamente ci sono temi di cui è difficile parlare con il presidente russo. Ma siamo d’accordo che l’Ucraina è davvero bella. L’uso del pronome possessivo «mia», però, è decisamente esagerato […]. Inoltre, per quanto riguarda la nostra capacità di sopportare, ritengo che l’Ucraina abbia avuto molta pazienza, ed è una virtù. La nostra calma è importante non solo per l’Ucraina e per tutta l’Europa, ma anche per la Russia, perché impedisce un’escalation della violenza. Noi proteggiamo il nostro Paese. Siamo sul nostro territorio. La pazienza ci permette di non rispondere alle provocazioni e di comportarci in modo dignitoso.

Il 24 febbraio, nonostante il suo appello per la pace alla conferenza di Monaco, l’Ucraina viene invasa. Il mondo intero assiste in tempo reale all’attacco. Zelensky diventa il “nemico numero uno” della Russia.

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