La situazione della crisi ucraina sta peggiorando visibilmente e la possibilità di avvio di trattative sembra allontanarsi drasticamente. Non mi riferirei tanto all’evoluzione della situazione tattica sul terreno, che può essere soggetta a evoluzioni a favore dell’uno o dell’altro contendente, in tempi anche abbastanza ristretti. Vi sono altre indicazioni che possono avere un effetto più “a lungo termine” dei singoli scontri sul terreno.

Era prevedibile che Mosca aspirasse ad acquisire il controllo di due ampie fasce di terreno ucraino, senza consentire soluzione di continuità tra le due. Una è quella lungo il confine orientale dell’Ucraina (probabilmente coincidente con l’intero Donbass) in virtù delle significative ricchezze industriali e minerarie di tale regione. L’altra è quella che costeggia il Mar d’Azov e il Mar Nero, fino a stabilire continuità territoriale con la Transnistria e, idealmente, ad acquisire l’importante città portuale di Odessa. L’acquisizione di questa seconda fascia costiera rappresenta un obiettivo estremamente “ambizioso”.

Tale obiettivo era prevedibile in considerazione della visione strategica russa in relazione al Mar Nero, ma recentemente, per la prima volta, tale intendimento è stato ufficialmente dichiarato da alte personalità militari russe. Quasi contemporaneamente vengono denunciati attacchi contro il ministero degli interni della autoproclamata repubblica della Transnistria. Ovvio pensare che tali attacchi, veri o falsi che siano, possano costituire il casus belli per giustificare l’ingresso nel conflitto della Transnistria e delle forze russe che da tempo vi sono dislocate. Tali forze (alcuni riferiscono 12mila uomini, ndr) potrebbero contribuire da ovest a una manovra tendente a congiungersi con le forze russe che già operano nella zona di Kherson. È evidente che né l’Ucraina né gli USA né l’UE accetterebbero una situazione che privasse Kiev di Odessa e del suo indispensabile accesso al mare. L’estensione del conflitto in tal senso, verso la Transnistria, non può che allontanare qualsiasi ipotesi negoziale.

Occorrerebbe poi vedere come reagirebbe la Moldavia, che finora ha tentato di non intromettersi nel conflitto e che, a differenza di Ucraina e Georgia, non ha mai espresso l’intendimento di aderire all’Alleanza Atlantica. Ovvero, resterebbe a guardare oppure approfitterebbe della situazione e del sicuro supporto militare che le verrebbe garantito dall’Occidente per riprendere il controllo del territorio dell’autoproclamata repubblica russofona e regolare un po’ di conti in sospeso?

Altro elemento di preoccupazione è dovuto alla riunione dei ministri della Difesa di quaranta paesi occidentali a Ramstein in Germania. Scopo dichiarato è decidere in merito all’invio di armamenti pesanti (artiglierie, carri armati, aerei) all’Ucraina. Gli USA, come noto, esercitano forti pressioni sugli Alleati in tal senso. Alcune osservazioni elementari.

Mentre l’invio di sistemi d’armi contro-carri o antiaerei può essere facilmente occultato, sarebbe difficile un tale occultamento in riferimento a carri armati o obici semoventi. Comprensibile che tali convogli sarebbero bersagli naturali per i russi. Anche prima di entrare in Ucraina e quindi nel territorio di un paese NATO? Se la situazione sul terreno per i russi dovesse peggiorare sarebbe verosimile.

Si tratta poi di mezzi che non sarebbero attualmente parte degli arsenali ucraini e, pertanto, gli occidentali dovrebbero addestrare i militari ucraini al loro impiego. Ove, stanti le perplessità europee, tale addestramento non fosse condotto all’interno dell’Ucraina, la Russia potrebbe intendere colpire la basi nei paesi NATO ove tale addestramento ha luogo? Possibile.

In questo contesto, il vice ministro della difesa britannico ha affermato in parlamento che sarebbe “corretto” che gli ucraini utilizzassero armamenti donati dai britannici per colpire obiettivi militari in territorio russo (ovvero, è chiaro che una volta che gli vengono donate le armi possono impiegarle come vogliono, ma era il caso di dichiararlo in questo frangente?). Scontata la risposta della portavoce russa che ha dichiarato che a questo punto loro sarebbero autorizzati a colpire i convogli di aiuti militari anche nei territori dei paesi NATO.

Peraltro, l’insistenza USA su questo argomento potrebbe indicare anche qualcos’altro. Ovvero, come prevedibile, le sanzioni economiche non stanno avendo effetti determinanti sulla condotta delle operazioni sul terreno. Era scontato che gli effetti non potessero vedersi in pochi mesi. Si tratta di misure che richiedono tempi lunghi. Quindi, occorre convincere gli europei a impegnarsi di più militarmente. In quest’ottica non può sfuggire la scelta della sede dell’incontro: Ramstein.

Ramstein non è solo una tranquilla città tedesca, è la sede dell’Allied Air Command, ovvero il comando NATO da cui dipende l’eventuale impiego di tutte le forze aeree dell’Alleanza Atlantica. La scelta della sede potrebbe intendere inviare il seguente messaggio alla Russia: al momento stiamo discutendo di inviare armi pesanti, ma intanto ci siamo riuniti là, dove forse si sta valutando un eventuale supporto aereo NATO alle operazioni terrestri degli ucraini (è chiaro che a livello di “prudent planning”, nella massima prudenza, una tale opzione deve essere già stata valutata tecnicamente).

In conclusione, da un lato le ambizioni territoriali che manifestate dalla Russia appaiono sempre meno accettabili in un ottica di negoziato. Dall’altro, le dichiarazioni USA che “l’Ucraina può vincere” in questo momento appaiono essenzialmente strumentali a garantire un maggior impegno dei paesi europei a fianco di Kiev e un loro maggior coinvolgimento nel conflitto. Il messaggio vero sembra essere: “Ucraina per non soccombere ha bisogno di un sostegno militare più marcato di quello di cui usufruisce oggi”. Ove tale sostegno in armamenti non risultasse sufficiente a contenere e far desistere la Russia dai suoi intendimenti, è chiaro che non si potrebbe escludere un intervento diretto armato della NATO nel conflitto, con tutte le implicazioni di una tale scelta politica.

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