Secondo le autorità dell’Iran, la qualità delle prestazioni sanitarie offerte ai prigionieri è “esemplare” e “senza precedenti” nel mondo. Peccato che nelle carceri di quel paese i detenuti muoiano a causa del rifiuto intenzionale di somministrare cure mediche vitali o per la mancata o ritardata autorizzazione dei ricoveri ospedalieri urgenti.

Martedì scorso Amnesty International ha pubblicato un rapporto che esamina i decessi in carcere di 92 uomini e quattro donne, avvenuti dal gennaio 2010 in 30 prigioni di 18 province iraniane. Questi casi, precisa l’organizzazione per i diritti umani, sono illustrativi e non esaustivi: il totale potrebbe essere assai più alto poiché tanti altri casi non vengono denunciati per il ben fondato timore di rappresaglie. I 96 casi non comprendono le morti in carcere dovute alla tortura, su cui Amnesty International aveva già pubblicato un rapporto nel settembre 2021.

Almeno 11 prigionieri sono morti dopo che erano state loro negate cure mediche adeguate per traumi provocati al momento dell’arresto o del trasferimento in carcere. Gli altri 85 sono morti a seguito del diniego di cure mediche per gravi problemi di salute – infarti, complicazioni gastro-intestinali o polmonari, insufficienze renali, Covid-19 o altre infezioni – emersi improvvisamente in carcere o relativi a preesistenti patologie non curate durante la detenzione.

Il rapporto denuncia la prassi comune di non autorizzare o ritardare ricoveri ospedalieri di prigionieri in condizioni critiche di salute e quella, altrettanto comune, di negare cure mediche adeguate, test diagnostici, controlli periodici e terapie post-operatorie: situazioni che aggravano i problemi di salute, procurano dolori aggiuntivi e causano o contribuiscono a causare morti precoci. I reparti clinici delle prigioni iraniane non hanno a disposizione attrezzature per gestire situazioni sanitarie gravi né sufficiente personale di medicina generale, per non parlare di quello specialistico, che è autorizzato a fare visite per una o più ore nel corso della settimana “se necessario”. Di conseguenza, i detenuti che hanno bisogno di cure urgenti o specialistiche dovrebbero essere immediatamente trasferiti fuori dal carcere, cosa che invece solitamente non accade.

Sessantaquattro del 96 prigionieri di cui si occupa il rapporto di Amnesty International sono morti in carcere. Almeno 26 prigionieri sono morti durante il trasferimento in ospedale o poco dopo il ricovero, ritardati intenzionalmente per giorni dalla direzione delle carceri o dal personale medico. Infine, in almeno sei casi, prigionieri in gravi condizioni di salute erano stati trasferiti in isolamento, in celle di punizione o in quarantena. Quattro di loro sono morti mentre erano soli in cella, due sono stati autorizzati al ricovero ospedaliero quando era troppo tardi. Nella maggior parte dei casi, i prigionieri deceduti erano in età giovanile o media: 23 avevano tra 19 e 39 anni, 26 tra 40 e 59 anni.

Le prigioni con un’ampia popolazione carceraria appartenente alle minoranze oppresse sono citate spesso nel rapporto di Amnesty International: 22 delle 96 morti sono avvenute nella prigione di Urmia, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, in cui la maggior parte dei detenuti è di origine curda e azera. Tredici morti si sono verificate nella prigione di Zahedan, nella provincia del Sistan e Belucistan, dove si trovano in gran parte prigionieri beluci. Dei 96 detenuti, 20 erano in carcere per reati di natura politica.

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