La britannica Shell, prima compagnia petrolifera privata al mondo, ha annunciato che la sua uscita dalla Russia comporterà un impatto sui conti fino a 5 miliardi di dollari (4,6 miliardi di euro). Shell era impegnata soprattutto nel mega progetto Sakhalin-2 per lo sviluppo di campi estrattivi di gas e petrolio nel Pacifico settentrionale prospicente le coste russe. La cifra annunciata sa Shell è imponente ma modesta rispetto ai 25 miliardi che potrebbe costare alla concorrente British Petroleum l’uscita dall’azionariato del colosso petrolifero Rosneft di cui possedeva il 20% e da altri progetti russi. Shell ha comunque fatto sapere che al netto delle svalutazioni i risultati del primo trimestre del 2022 dovrebbero essere miglior di quelli già buoni degli ultimi 3 mesi del 2021. Nell’intero anno passato la società ha messo a bilancio un utile di 19 miliardi di sterline (22,7 miliardi di euro).

Tutte le compagnie del settore stanno infatti beneficiando dei forti rincari registrati dai prezzi di petrolio e gas. Nell’ultimo anno il costo di un barile di greggio è salito del 50%, quello del gas venduto in Europa, tra fortissime oscillazioni, è oggi circa doppio rispetto ad un anno fa. Il prossimo 28 aprile comunicheranno i dati trimestrali anche il gruppo italiano Eni, controllato al 30% dal Tesoro, che ha chiuso il 2021 con il miglior risultato dal 2012 e il colosso francese Total che si è “autoescluso” dal commercio del greggio con Mosca.

Lunedì scorso la compagnia statunitense Exxon Mobil ha comunicato al mercato un profitto trimestrale di 11 miliardi di dollari, il più alto dal 2008. Ma sfilze di bilanci da record li stesso mettendo a segno un po’ tutti gli operatori del settore e in una fase delicata come questa tutti i governi mettono gli occhi su questi utili da favola. Anche negli Stati Uniti importanti esponenti democratici hanno chiesto a Exxon e all’altro big Usa Chevron di interrompere immediatamente la distribuzione di dividendi e operazioni di riacquisto di azioni proprie fino alla conclusione della guerra, rimproverando alle compagnie di “approfittare della crisi in Ucraina”.

Secondo i parlamentari le società petrolifere Usa pianificano quest’anno di spendere 32 miliardi di dollari tra dividendi a soci e programmi di buy back azionari. La scorsa settimana il presidente Joe Biden ha chiesto alle major di reinvestire i profitti in nuovi pozzi per aiutare a colmare il gap che consegue all’imminente stop delle importazioni dalla Russia. Anche negli Stati Uniti è sul tavolo l’ipotesi di una tassazione degli extraprofitti delle compagnie, provvedimento già adottato in Spagna, Italia ed auspicato a livello Ue. Exxon “sta addebitando ai consumatori prezzi scandalosi mentre registra profitti record”, ha affermato Ed Markey, senatore democratico del Massachusetts. “Dovremmo tassare i profitti straordinari di Big Oil e restituire quei soldi ai lavoratori di questo paese”.

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