Dopo una prima astensione che risaliva al 2 marzo, la Cina si è di nuovo astenuta il 24 marzo, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a stragrande maggioranza una risoluzione promossa dall’Ucraina che incolpa la Russia per la crisi umanitaria nel Paese e chiede un cessate il fuoco immediato, la protezione della popolazione civile insieme a case, scuole e ospedali. La risoluzione non vincolante, che ha quindi effetto esclusivamente simbolico, ha ricevuto 140 voti favorevoli, 38 astensioni (tra queste, quelle di Cina, India, Pakistan e diversi Paesi del Sud globale), mentre solo Russia, Bielorussia, Siria, Corea del Nord ed Eritrea hanno votato contro. Precedentemente, la Cina – così come la Russia – aveva appoggiato una risoluzione promossa dal Sud Africa che poneva la questione umanitaria eludendo la questione dell’aggressione russa e che non ha raccolto abbastanza sostegno per essere votata.

L’atteggiamento cinese all’Onu è la sintesi di una posizione che ormai sembra abbastanza definita e che il presidente Xi Jinping ha esplicitato nella sua video chiamata con Joe Biden il 18 marzo. Il comunicato di Pechino recitava: “La Cina ha presentato un’iniziativa in sei punti sulla situazione umanitaria in Ucraina ed è disposta a fornire ulteriore assistenza umanitaria all’Ucraina e ad altri paesi colpiti. Tutte le parti dovrebbero sostenere congiuntamente il dialogo e il negoziato Russia-Ucraina e negoziare i risultati e la pace. Gli Stati Uniti e la Nato dovrebbero anche condurre un dialogo con la Russia per risolvere il nodo cruciale della crisi ucraina e risolvere i problemi di sicurezza sia della Russia che dell’Ucraina”. Riassumendo: la Cina è disposta a fornire aiuto concreto sulle questioni umanitarie, offre anche i propri “buoni auspici” affinché Russia e Ucraina si parlino (la differenza tra “buoni auspici” e “mediazione” è presente nei manuali di diritto internazionale e implica una minore o maggiore implicazione da parte della terza parte) e infine Stati Uniti e Nato (che detto per inciso sono secondo la Cina all’origine del problema) dovrebbero parlare con la Russia per risolvere sia la crisi ucraina sia le preoccupazioni di sicurezza tanto russe quanto ucraine.

Si notino quindi i diversi gradi di coinvolgimento che Pechino è disposta a offrire: innanzitutto un impegno concreto per le questioni umanitarie, poi i “buoni auspici” (insieme alla comunità internazionale, sia ben inteso) affinché la guerra si risolva attraverso il dialogo russo-ucraino e infine nessun impegno a fare pressioni sulla Russia. Parlare con Putin è infatti compito di Usa e Nato, che sono la causa di tutto questo caos e che quindi devono garantire sia la sicurezza russa, sia – di conseguenza – quella Ucraina. Nel colloquio con Biden, Xi Jinping avrebbe anche messo assolutamente in chiaro (occupa parecchio spazio nel resoconto cinese) il rifiuto delle sanzioni: “È la gente comune a soffrire di sanzioni a tutto tondo e indiscriminate”, avrebbe detto il leader di Pechino. “Se venissero ulteriormente potenziate, innescherebbero una grave crisi nell’economia globale”.

Questa linea è in buona sostanza quanto viene ripetuto ormai dai media di Stato e dai commentatori cinesi intervistati anche dai grandi media corporate atlantici, come Gao Zhikai (Victor Gao) su Cnn. Più gli Usa fanno pressioni sulla Cina – o annunciano al mondo che faranno pressioni sulla Cina – affinché si sganci dalla Russia, abbandoni quella che è stata definita neutrality leaning to Russia, e più la Cina farà di testa sua. Perché? Perché non c’è saggezza nell’atteggiamento statunitense e perché questa volta Washington non ha nulla da offrire in cambio, anzi.

Non siamo più nel 1972, quando il viaggio di Nixon in Cina aprì una stagione durata almeno fino al pivot to Asia coniato dall’accoppiata Obama-Clinton (Hillary) nei tardi anni zero del nuovo millennio. In quel tempo ormai lontano, Pechino e Washington avevano un nemico in comune, l’Unione Sovietica. Nell’ambito della rivalità interna al campo comunista, la Cina di Mao, con l’Urss, ci aveva pure combattuto una guerricciola nel 1968 lungo il confine dell’Amur-Heilongjiang e anche le rispettive affiliazioni all’interno del Sud globale rispecchiavano questa contrapposizione: India con l’Urss e Pakistan con la Cina, Vietnam filo-sovietico e Khmer rossi cambogiani di ispirazione maoista.

Oggi, sono Cina e Russia ad avere un nemico in comune: gli Stati Uniti. Le politiche di contenimento di Pechino da parte di Washington sono forse uno dei pochi dossier su cui c’è consenso bipartisan nell’elite politica statunitense: “neocon” e “democratic imperialists” (sono di un analista della scuola realista Usa come John Mearsheimer) vanno a braccetto su questo dossier di politica estera. La Cina, già delusa dalle politiche economiche statunitensi ai tempi della crisi finanziaria globale del 2008 e poi messa alla prova dall’aggressività di Donald Trump, sembra avere perso ogni illusione, anche se preferirebbe non essere nel mirino statunitense perché il boom cinese degli ultimi 40 anni si fonda esattamente sulla complementarietà economica con gli Stati Uniti. Una giornalista cinese della televisione di Stato ha così sintetizzato su Twitter le richieste statunitensi alla Cina: “Puoi aiutarmi a combattere il tuo amico in modo che poi possa dedicarmi a combattere te?”

In definitiva, le valutazioni sul conflitto ucraino della Cina hanno soprattutto a che fare con il conflitto di più lungo periodo che si staglia all’orizzonte: quello con gli Usa. Questa linea ufficiale sicuramente maggioritaria viene comunque discussa tra gli analisti che circondano la stanza dei bottoni. È circolato parecchio anche in Occidente, nelle scorse settimane, l’articolo scritto da Hu Wei, direttore un think-tank collegato al Consiglio di Stato (governo), che sottolinea come un distanziamento della Cina da Putin e un contributo attivo a porre fine alla guerra le restituirebbe il ruolo di “potenza responsabile” e aumenterebbe il suo status nel mondo. In realtà, la Cina dice e ripete dall’inizio del conflitto che non è per nulla contenta di ciò che sta succedendo in Ucraina. Ma difficilmente assumerà un atteggiamento esplicitamente ostile nei confronti del partner russo e non solo per questioni di interesse economico e strategico.

In un podcast su Sinica, Chen Dingding, professore di relazioni internazionali all’Università di Jinan, spiega che la Cina comprende molto bene l’insoddisfazione russa per l’ordine internazionale disegnato da Washington perché la condivide lei stessa. Pechino ritiene che il sistema europeo di sicurezza non sia stato adeguatamente gestito dopo la fine della Guerra Fredda – da qui il favore manifestato per un eventuale “sistema di sicurezza europeo” che coinvolga Ue e Russia ma escluda gli Usa – e l’attuale conflitto ucraino discende direttamente da quel problema irrisolto. Mettere invece spalle al muro una potenza nucleare – decadente quanto si voglia – senza offrire vie d’uscita a lei e a tutti è per Pechino la garanzia di future tragedie.

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