L’effetto delle sanzioni occidentali alla Russia si fa sentire sulle tasche dei normali cittadini, in coda per comprare lo zucchero che da inizio anno è rincarato del 20% e per fare scorta di una serie di beni importati o prodotti da multinazionali straniere – dai pannolini al dentifricio – che a breve potrebbero scarseggiare o diventare ancora più costosi. L’impatto su banche e mercato valutario, dopo lo choc iniziale, sembra però essersi stabilizzato. E il 21 marzo la Borsa di Mosca, rimasta chiusa dal giorno successivo all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, ha riaperto i battenti per i titoli di Stato federali russi, su cui la scorsa settimana non si è materializzato il paventato default. La ripresa degli scambi è ovviamente sostenuta dalla mano forte della Banca centrale che sta comprando bond per “prevenire un eccesso di volatilità“. Il rendimento dei decennali è di conseguenza in forte calo, al 13% dopo il picco del 19,8% toccato il 4 marzo.

“L‘efficacia delle sanzioni aumenta notevolmente se la forza della pressione esercitata varia in base al comportamento del Paese”, ha commentato nella sua newsletter l’ex vice governatore della Banca centrale russa Sergey Aleksashenko. “È evidente che negli ultimi giorni, nonostante il passaggio di Putin ad attacchi sempre più violenti contro le città e i civili ucraini, la pressione delle sanzioni occidentali non è aumentata”. Morale: senza misure che colpiscano anche l‘export energetico – non a caso a Bruxelles si torna a parlare di un possibile embargo sul petrolio – appare difficile ottenere qualcosa nel breve periodo per questa via. Anche se le azioni dei gruppi russi sui listini occidentali hanno azzerato il proprio valore e nel medio-lungo periodo l’economista Branko Milanovic, tra gli altri, prefigura una nuova “criminalizzazione della società” per aggirare le restrizioni sull’importazione di beni di consumo, gravi difficoltà nella sostituzione di tecnologia occidentale (software, auto, aeroplani, elettrodomestici) e forte aumento dell’emigrazione di forza lavoro qualificata.

Per ora, nonostante il congelamento delle riserve estere la situazione non è precipitata. La corsa agli sportelli attesa all’inizio di marzo si è in parte verificata, ma l’intervento della Banca centrale – che in dieci giorni ha fornito agli istituti liquidità per 8,8 trilioni di rubli – ha per ora disinnescato il rischio di crac. Due terzi di quei prestiti, rileva Aleksashenko, sono stati usati per far fronte ai prelievi dei depositari, ma poi gli alti tassi di interesse sui depositi (fino al 20,5%) e l’impossibilità di acquistare valuta straniera hanno invertito il flusso e due terzi del cash è tornato sui conti corrente o deposito. Subito dopo il pagamento degli interessi sui titoli di Stato denominati in dollari è andato liscio, nonostante il ministro delle finanze Anton Siluanov avesse più volte ventilato la possibilità del pagamento in rubli. Secondo Aleksashenko è probabile che “qualche investitore russo” sapesse bene che era un bluff e abbia speculato comprando titoli quando il valore era crollato e rivendendoli a default evitato.

Ma che prospettive ha ora l’economia reale russa? Venerdì la governatrice della banca centrale Elvira Nabiullina, appena riconfermata per il terzo mandato nonostante secondo indiscrezioni abbia tentato più volte di dare le dimissioni, ha ammesso che l’inflazione “rimarrà elevata per qualche tempo, ma non permetteremo alla spirale inflazionistica di prendere piede”, ha aggiunto. Il balzo tra fine febbraio e inizio marzo, ha spiegato, è stato “provocato da un boom della domanda soprattutto di beni non alimentari come elettrodomestici, auto, dispositivi elettronici e arredamento” a causa del timore che “la disponibilità diminuisse drasticamente a causa delle sanzioni, dell’uscita di alcune compagnie dalla Russia e di un rublo più debole“, ma “nella seconda settimana di marzo questa domanda febbrile è calata”. Non così per i prodotti alimentari, ma beni come “cereali, farina, pasta e zucchero sono per la maggior parte prodotti in Russia, da materie prime nazionali, le scorte di questi prodotti sono sufficienti e la loro produzione continua”. Tutte le aziende “stanno sperimentando interruzioni della produzione, della catena logistica e del regolamento dei conti con le controparti straniere”. Ma, ha assicurato la banchiera centrale, ora l’economia si adatterà al nuovo contesto: “Prima non era profittevole produrre nel Paese alcuni beni, ora diventerà più interessante”. Il prossimo trimestre, ha riconosciuto, “il pil calerà”. Osservatori esterni stimano un crollo che quest’anno potrebbe raggiungere il 10%.

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