Le risposte russe alle sanzioni occidentali saranno un boomerang. Il divieto di import ed export nei confronti dei Paesi “nemici” è destinato a fallire e le severe restrizioni al ritiro di contanti dai conti correnti in valuta forte dimostrano “incredibile stupidità“. Parola di Sergey Aleksashenko, ex viceministro delle Finanze e vice governatore della Banca centrale russa, ora alla Brookings university, che nella sua newsletter Behind the Iron Curtain (“Dietro la cortina di ferro”) sulla piattaforma Substack sta analizzando giorno dopo giorno l’evoluzione della guerra in Ucraina e il parallelo avvitamento dell’economia di Mosca, ora a rischio di default imminente. Le misure adottate nelle ultime 24 ore, che seguono la decisione di consentire a istituzioni e compagnie russe di saldare i loro debiti in rubli, segnano dal suo punto di vista un nuovo picco di irrazionalità.

Dopo il (quasi simbolico) embargo Usa sul petrolio russo e l’annuncio del piano europeo per ridurre di due terzi in un anno le importazioni di gas, martedì Vladimir Putin ha dato mandato al governo di stilare entro due settimane una lista di Paesi per i quali saranno vietati importazioni e importazioni di prodotti finiti e materie prime. Poi la Banca centrale, le cui riserve internazionali sono state congelate, per arginare la caduta libera del rublo ha sospeso fino al 9 settembre la vendita di valute straniere ai cittadini russi e fissato un tetto di 10mila dollari al ritiro di contanti dagli istituti di credito: oltre questa cifra sarà possibile prelevare solo in valuta locale. Lo stesso varrà, per sei mesi, per chiunque apra un nuovo deposito in valuta straniera. “Il più grave errore che le autorità monetarie possono fare in Russia è toccare i risparmi privati“, è il commento di Alexashenko. “Se non c’è stata corsa agli sportelli finora, adesso succederà”.

Sul fronte commerciale, le contromosse sono giudicate altrettanto “irrazionali”: “L’idea di bandire le importazioni in un Paese in cui il 25% del mercato alimentare e il 50% di quello non alimentare sono dipendono dall’import può reggere solo in un’economia che attrae investimenti o che produce le sue tecnologie e crea beni di consumo competitivi. E l’economia russa non ricade in nessuna di queste categorie”, è il commento di Alexashenko sul primo fronte. La controprova? L’embargo sui prodotti agroalimentari introdotto nel 2014, rappresaglia per le sanzioni dopo lo scoppio della guerra in Donbass, non ha avuto come risultato la sostituzione con produzioni locali: nel migliore dei casi sul mercato sono arrivati dei surrogati, nel peggiore i prezzi sono lievitati. Addirittura più problematico il bando sull’export: la Russia esporta per l’85% materie prime e impedire a gruppi come Rusal, Norilsk Nickel e il colosso dei fertilizzanti Phosagro di vendere all’estero li metterebbe in grave difficoltà.

Il tutto mentre i proventi dalla vendita di gas andranno assottigliandosi per effetto delle mosse di Bruxelles. Questo è il fronte più caldo per Mosca, ricorda l’economista, perché l’embargo Usa sul petrolio avrà un peso limitatissimo considerando anche che India e Cina continueranno a comprarlo e l’aumento dei prezzi del barile dovrebbe più che compensare il declino dei volumi. Al contrario non ci sono acquirenti alternativi per i 150-180 miliardi di metri cubi di gas esportati verso l’Europa, pari al 30-35% della produzione di Gazprom: il gruppo “non ha stabilimenti di liquefazione sul Baltico di sua proprietà” e “non ha gasdotti che portino gas in Cina”: c’è il Power of Siberia che però “non è collegato ai principali giacimenti”. Turkish stream e Blue stream hanno una capacità combinata di 48,5 miliardi di metri cubi, ma l’economia turca ha poco margine di aumento degli acquisti. Non solo: la decisione di smarcarsi gradualmente dal gas russo riducendo i volumi “metterà pressione su Gazprom in due modi”, conclude Aleksashenko, aumenterà il costo di pompare una unità di gas” e metterà il gruppo nella condizione di dover comunque pagare un costo per il transito del gas attraverso l’Ucraina. Il contratto siglato nel 2019 è infatti basato sul principio “pump of pay“: tra 2021 e 2024 Gazprom si è impegnata a versare in ogni caso una tassa di transito per 40 miliardi di metri cubi di gas, più o meno 1,4 miliardi di dollari l’anno.

Articolo Precedente

Guerra Russia-Ucraina, la metalmeccanica italiana stretta tra carenza di materie prime, rincari dell’energia e blocco delle esportazioni

next
Articolo Successivo

Guerra Russia-Ucraina, Eni sospende acquisto di petrolio e prodotti petroliferi russi

next