In casa Fedorenko non si è mai parlato di politica, e il fatto di essere una coppia “mista”, lei ucraina e lui russo, non ha mai significato molto per Hanna e Vladimir. Fino al 24 febbraio, quando è iniziato l’attacco e i colpi dell’artiglieria russa hanno svegliato la periferia di Kharkiv nel cuore della notte. Il tempo di mettere qualche coperta in macchina e sono partiti. Il figlio maggiore ha la distrofia di Duchenne e si è aggravato durante un viaggio di tredici giorni e cinque Paesi. A differenza di molti ucraini arrivati in Italia, i Fedorenko non conoscono nessuno che possa ospitarli.
“Ma a Bologna c’è un bravo specialista che anni fa ha visitato nostro figlio”, raccontano nella cucina di un appartamento a Trieste, dove l’8 marzo la onlus ICS (Centro Italiano di Solidarietà – Ufficio Rifugiati), li ha sistemati a poche ore dall’arrivo alla frontiera. Un’odissea senza ritorno, perché dopo la loro fuga il condominio dove abitavano è stato bombardato. “Mio marito ha parenti in Russia – racconta lei – ma non credono a quello che ci è successo, a quello che accade in Ucraina”. Dove Hanna è la coordinatrice di un’associazione che raccoglie le famiglie dei bambini con la sindrome di Duchenne: “Molte sono riuscite a partire, ma a Kharkiv come a Mariupol c’è chi non ce l’ha fatta, e di alcuni non abbiamo più notizie”.
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