L’Aula del Senato ha respinto la richiesta del giudice per le indagini preliminari di Roma di concedere l’utilizzo delle intercettazioni del senatore leghista Armando Siri, imputato di corruzione per i presunti favori all’imprenditore (già parlamentare di Forza Italia) Paolo Arata e alla Leonardo. Approvata la relazione della Giunta delle immunità redatta il 16 febbraio scorso dal senatore di Fratelli d’Italia Lucio Malan e votata – su richiesta del Partito democratico – per parti separate. La prima si riferiva a due conversazioni iniziali tra Siri e Arata (la cui utenza era il bersaglio dell’intercettazione), datate 15 maggio 2018, la seconda alle altre sei, tra il 17 maggio e il 6 agosto. Per le prime è stata negata l’autorizzazione “per la incerta ed implausibile configurazione del requisito della necessità“, per le seconde “non sussistendo il requisito della fortuità e occasionalità“. “Dopo le prime due telefonate del 15 maggio 2018 la Procura poteva, alla stregua di criteri di plausibilità e di ragionevolezza, rendersi conto del coinvolgimento di un parlamentare e conseguentemente avrebbe dovuto sospendere immediatamente le captazioni; ove avesse voluto proseguire le stesse, avrebbe quindi dovuto richiedere l’autorizzazione al Senato”, si legge nella relazione. La prima parte quindi è passata con 120 voti favorevoli, 104 contrari e un astenuto; la seconda con 158 sì, 64 no e 9 astenuti.

Siri è accusato di corruzione per l’esercizio della funzione per due diversi episodi risalenti al 2018, quando era sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti nel governo gialloverde: fu costretto a dimettersi, a maggio 2019, proprio dalla notizia dell’indagine. In primo luogo gli si contesta “di aver proposto e concordato con gli organi apicali dei ministeri competenti per materia (Infrastrutture, Sviluppo economico e Ambiente, ndr) l’inserimento in provvedimenti normativi” di “emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto minieolico, ricevendo la promessa e/o la dazione di 30mila euro da parte del signor Paolo Franco Arata – amministratore della Etnea S.r.l. e dominus della Solcara S.r.l., società operative in quel settore – il quale, secondo l’autorità giudiziaria, da tali provvedimenti avrebbe tratto benefici di carattere economico”.

L’indagine era scaturita da un fascicolo aperto a Palermo sul legame tra Arata, autore del programma energetico della Lega, con Vito Nicastri, il “re del vento”, considerato dagli inquirenti come uno dei finanziatori di Matteo Messina Denaro. Al centro dell’inchiesta, in cui i pm di Roma Paolo Ielo e Mario Palazzi hanno chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per Siri, Arata e altri due imputati, c’è lo “stabile accordo tra il corruttore Arata, imprenditore nel settore eolico con significativi investimenti in Sicilia e con trascorsa attività politica da cui trae molteplici relazioni ancora in atto con i massimi livelli istituzionali”, e il senatore Siri, “costantemente impegnato – attraverso la sua azione diretta nella qualità di alto rappresentate del governo e ascoltato membro della maggioranza parlamentare – nel promuovere provvedimenti regolamentari o legislativi che contengano norme ad hoc tese a favorire gli interessi economici dell’Arata”.

Siri è inoltre accusato “di essersi attivato per ottenere un provvedimento normativo ad hoc che finanziasse (…) il progetto di completamento dell’aeroporto di Viterbo, di interesse della Leonardo S.p.A. per future commesse. Il senatore Siri avrebbe inoltre esercitato pressioni (…) sul Comandante generale della Guardia costiera, Ammiraglio ispettore capo Giovanni Pettorino, al fine di determinarlo a rimuovere il contrammiraglio Piero Pellizzari dall’incarico di responsabile unico del procedimento nell’ambito di un appalto (…), per la fornitura di sistemi radar “V.T.S.” in quanto – secondo l’ipotesi accusatoria – quest’ultimo sarebbe stato inviso alla sopracitata Leonardo S.p.A. perché critico su alcuni aspetti della fornitura. In relazione a tale capo di imputazione il senatore Siri avrebbe ricevuto la promessa di ingenti somme di denaro e comunque la dazione di ottomila euro“.

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