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Slava, il rapper ucraino-bresciano racconta la guerra sui social: “Kharkiv? Da piccolo andavo in piazza a vedere i fuochi d’artificio, ora non c’è più”

Vyacheslav Yermak, Slava per gli amici, rapper 27enne di Brescia, è originario di Kharkiv, una delle città che ha subito i maggiori bombardamenti nei giorni scorsi. Grazie alla sua popolarità sui social ha raccolto 11mila euro ed è pronto a partire per il confine con la Moldavia per aiutare i profughi

di Marco Vesperini

Le prime notizie dell’invasione russa dell’Ucraina di giovedì 24 febbraio sono state veicolate tramite i social network. Questo non ci stupisce, certo. Dalle primavere arabe in poi, all’inizio degli anni dieci del nuovo millennio, il sorpasso dei social network rispetto i media tradizionali è sotto gli occhi di tutti. Ma oggi di fronte ad un’altra guerra in Europa, non sono solo i social, mediati dai professionisti dell’informazione, a dare notizie, anche chi di informazione non si è mai occupato si è trovato ad assumere, spesso senza volerlo ma “costretto” dagli eventi, un ruolo che non rispecchia più la canonica definizione di influencer. Potremmo coniare una nuova terminologia: influencer di guerra. È capitato a Vyacheslav Yermak, Slava per gli amici, rapper 27enne di Brescia, originario di Kharkiv, una delle città che ha subito i maggiori bombardamenti nei giorni scorsi. Dall’inizio degli scontri Slava non ha smesso di seguire gli eventi con le sue storie Instagram, viste da oltre 150mila persone, e con il suo canale Telegram Slava (Ukraine) da oltre 50mila iscritti, dove pubblica video e foto inviategli dai suoi connazionali.

“Quando è scoppiato il conflitto mia madre, che è qui in Italia, l’ha presa molto male – racconta al Fatto.it –. Io ho realizzato più tardi la situazione, dopo il terzo giorno. Inizialmente non sapevo cosa aspettarmi, pensavo che attaccassero qualche base militare fuori le città. Poi dai video che mi sono arrivati da varie parti dell’Ucraina mi sono reso conto che non era così. Spesso notizie, foto e video arrivano principalmente su Telegram, perché da noi i media sono poco affidabili, un po’ come in Russia, quindi le app vengono usate molto di più per veicolare le informazioni tra la cittadinanza. Anche quando scoppiarono le rivolte in Bielorussia Telegram veniva usato molto dai manifestanti per aggirare la propaganda”. Slava, però, fa musica. Non ha mai voluto essere un veicolo di informazione; non segue molto neanche i media italiani. “Questa cosa è partita casualmente con qualche storia su Instagram; poi la gente vedendo che avevo fonti e materiale interne al Paese ha iniziato a consultarmi e si è creato un passaparola con i tag nelle mie storie. All’inizio la prima cosa che mi premeva è l’approvazione degli ucraini riguardo questo modo di fare informazione tramite i social. Ho ricevuto molto supporto, anche da persone che non conoscevo e con cui poi ho stretto amicizia, ad esempio con persone del mio quartiere a Kharkiv. Ovviamente loro sperano che l’indignazione mondiale porti ad un qualche tipo di supporto e solidarietà con quanto sta accadendo. Gli italiani, invece, all’inizio erano un po’ scettici. Via via ho ricevuto spesso supporto anche da loro, benché ci sono sempre quelli che non ci credono, che nei messaggi ti scrivono per denigrarti”.

Slava è un ragazzo sveglio. Non ha semplicemente osservato passivamente il numero dei follower crescere, ha sfruttato l’esposizione del suo costante lavoro di selezione e verifica del materiale che gli viene inviato, per fare qualcosa di concreto per la popolazione colpita. “Con delle dirette su twitch, insieme ad un mio amico qui in Italia, che tra l’altro è originario della Russia, abbiamo raccolto 11mila euro con le donazioni. Di questi, 3mila – spiega il giovane – , che erano in cypto valute, le abbiamo donate direttamente all’esercito ucraino, mentre 8mila li abbiamo dati alla croce rossa per l’emergenza”. Non solo. Nei giorni scorsi Slava, grazie all’offerta di oltre un centinaio di persone, ha iniziato ad organizzare un viaggio per aiutare e se possibile soccorrere i rifugiati: “L’idea è di affittare dei van e andare al confine rumeno con la Moldavia. Mi stanno scrivendo un po’ tutti: dal privato che ha messo a disposizione fino a dieci stanze in una struttura, all’associazione di volontariato. C’è molta voglia di aiutare”. Per la prima volta nella storia i 27 Stati dell’Ue hanno dato il via libera a quella che alcuni chiamano “direttiva Kosovo” , che permette di dare un status speciale ai profughi proveniente dall’Ucraina.

Slava da anche una lettura dal punto di vista degli ucraini nelle settimane precedenti l’invasione. “La gente si era ormai abituata al fatto che ci fossero i carri armati addossati al confine. Nessuno sembrava davvero spaventato. Quando chiedevo ad alcuni parenti com’era la situazione, se fosse sicuro, loro rispondevano con le misure anti-Covid, credendo stessi parlando di quello. Da otto anni c’era una guerra nel Donbass, avevano fatto l’abitudine ai bombardamenti sul confine, solo che da noi in Italia queste cose non facevano notizia”. Si fa ancora fatica, dopo oltre dieci giorni di bombe, feriti, morti, interi quartieri sventrati, a capire cosa vogliano davvero i russi. “Mi sento costantemente con parenti e gli amici che sono lì. Ormai chi è in età per combattere viene reclutato, chi ha potuto mandare via la propria famiglia ha cercato di farlo, alcuni ci provano anche adesso, ma le persone vogliono combattere”. La guerra, però, non è solo tra le strade, anche sul web e nei social si combatte un conflitto parallelo. “Negli ultimi giorni Instagram mi sta bloccando – denuncia il giovane -. Capita che anche se del materiale non è contro la policy del social mi venga censurato, poi magari lo vedo in altri profili, come le manifestazioni dei protestanti nelle città occupate”. Una problematica riscontrata anche dai giornalisti in Ucraina che puntano il dito contro i bot russi che intaserebbero il social di Meta con segnalazioni mirate. Una guerra nella guerra. “È un conflitto di informazione. Non solo la Russia, anche l’Ucraina sta facendo propaganda. Credo sia normale in una situazione del genere, per questo bisogna verificare il più possibile quando si pubblica”.

Quando gli domandiamo della sua Kharkiv assediata ci parla del “quartiere del sonno” dove la sua famiglia ha ancora una casa. “Quando ho visto quell’esplosione nella piazza ci sono rimasto, io lì da piccolo ci andavo a vedere i fuochi d’artificio. È tutto assurdo. C’è chi la prende male, chi meno, chi ha paura di morire, chi no, ma alla fine non cambia nulla. Puoi anche nasconderti, poi esci per andare a prendere da mangiare e rischi di essere ucciso. Forse davvero i russi pensavano che avrebbero risolto in pochi giorni, forse anche gli ucraini la pensavano così ma si sono trovati con le spalle al muro. Un po’ come i gatti quando non hanno via di uscita e possono diventare molto pericolosi. Una nostra parente, una donna sui 45 anni, voleva arruolarsi come volontaria ma l’abbiamo fatta desistere perché ha una bambina. Quando è andata via ci scriveva dicendoci che si sentiva una traditrice, sono persone abituate ad una vita dura quindi non si faranno spaventare facilmente”.

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