Si continua a discutere a palazzo Chigi su quanto e come intervenire per arginare l’impatto del caro energia. Per domani è fissato il Consiglio dei ministri da cui dovrebbe arrivare la risposta. Nel pomeriggio si è svolta una riunione presieduta dal presidente del Consiglio Mario Draghi con i capi delegazione delle forze politiche di maggioranza, i ministri Patuanelli, Giorgetti, Gelmini, Orlando, Bonetti, Speranza. In mattinata si sono riuniti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, il ministro dell’Economia Daniele Franco, il capo di gabinetto del ministero dell’Economia Giuseppe Chinè e il Ragioniere Generale Biagio Mazzotta. Ieri era stato ascoltato l’amministratore delegato del gruppo Eni Claudio Descalzi.

“Fino a che non vedo il decreto energia non dormo. L’emergenza non è l’equilibrio tra partiti, ma la luce e il gas. Se domani vedrà la luce come da me richiesto un dl da 4,5, 6,7,8 miliardi è un bene per il paese. Se si devono fare scostamenti si facciano”, ha detto il leader della Lega Matteo Salvini. Sinora il governo ha già stanziato più di 10 miliardi di euro per attenuare l’impatto dei rincari su aziende e fasce deboli della popolazione. Due giorni fa l‘Arera (Autorità regolazione per l’Energia reti e Ambiente) ha ricordato come nei primi tre mesi dell’anno la bolletta della luce sia aumentata del 130% rispetto all’anno prima (quando però i prezzi erano particolarmente bassi) mentre quella del gas è salita del 94%.

“Credo che già domani, o comunque rapidamente, il governo interverrà nuovamente cercando di prevedere o di replicare anche per il secondo trimestre le misure che abbiamo già adottato a gennaio. In qualche caso cercheremo anche di risolvere dei problemi applicativi che hanno non risolto casi di autoproduzione dell’energia”, ha affermato il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti in question time al Senato. “E’ evidente che l’ammontare degli aumenti” dei prezzi dell’energia “richiederebbe disponibilità finanziarie ben oltre quelle consentite dall’attuale strumento di bilancio. Molto faticosamente al Mef si sta cercando di costruire una dote finanziaria significativa, però a bilancio invariato è evidente che è molto difficile dare una risposta compiuta e definitiva a questo tipo di fenomeno” ha aggiunto il ministro. Già, i soldi. Dopo aver tassato le produzioni da rinnovabili si pensa di ricorrere al deficit, insomma di dare con una mano e riprendere con l’altra. Di rivedere i costi delle concessioni dei giacimenti (oggi molto bassi) o di chiedere un contributo alle imprese che grazie al gas hanno fatto profitti da record pare non si parlerà neppure.

Raddoppiare le estrazioni di gas – C’è però il piano sul gas. A livello internazionale l’Italia si è unita ai paesi che chiedono a Cina e India di non aumentare le estrazioni di combustibili fossili. Ma nel frattempo sta pensando di incrementare le sue. Di raddoppiarle almeno, portandole da 3 a 6 miliardi di metri cubi all’anno. Il Pitesai (il piano redatto dal ministero della Transizione ecologica che definisce le aree in cui è possibile cercare ed estrarre gas e petrolio) pubblicato pochi giorni fa non sarebbe un problema visto che contempla ampi margini di deroghe. Poca cosa intendiamoci. Il consumo annuo della sola Italia è di oltre 70 miliardi di metri cubi (più o meno la dimensioni di tutti i nostri giacimenti) e per di più il gas finisce sul mercato europeo dove i consumi sono intorno ai 400 miliardi di metri cubi l’anno. Tre miliardi di metri cubi in più non cambiano nulla in termini di quotazioni e prezzi in bolletta. E neanche da un punto di vista geostrategico vito che consumato con questi ritmi il gas italiano sarebbe esaurito in meno di dieci anni.

Certo, chi estrae, Eni principalmente, vedrebbe aumentare per qualche tempo ricavi e utili. Agli attuali prezzi di mercato si stimano circa 1,5 miliardi di euro di incassi aggiuntivi all’anno. Ma qui piomba il governo (e Confindustria). In cambio delle licenze per raddoppiare le estrazioni i prezzi di vendita del nuovo gas saranno calmierati intono ai 20 centesimi al metro cubo, meno della metà dei 50 centesimi con cui viene scambiato oggi sul mercato europeo ma nelle tasche di Eni finirebbero comunque un 500 milioni di euro in più. Questo gas di stato andrà a sfamare soprattutto le aziende energivore, quelle che consumano molta energia come quelle siderurgiche che l’anno scorso hanno peraltro visto i loro incassi raddoppiare grazie alla corsa dei prezzi (di mercato) dell’acciaio.

“Nell’affrontare il caro bollette ancora una volta il governo sta sbagliando strada e soluzioni da adottare”. Lo affermano in una nota congiunta in vista del Consiglio dei ministri, Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf Italia: ” il Paese non ha bisogno di soluzioni tampone, scellerate e insensate: non serve raddoppiare la produzione del gas e avviare nuove trivellazioni a terra e a mare”, affermano. “I veri interventi da mettere in campo, e che purtroppo al momento ancora latitano, riguardano la decuplicazione della velocità di sviluppo delle fonti rinnovabili, a partire dal solare fotovoltaico e dall’eolico, e l’avvio di serie politiche di efficienza energetiche nei consumi domestici e nei cicli produttivi. Occorrono soluzioni credibili e radicali per ridurre le emissioni di CO2, semplificando anche le procedure autorizzative e garantendo un ruolo sempre maggiore alle fonti rinnovabili e ai sistemi di accumulo e correggendo e stabilizzando il superbonus edilizio del 110%. Solo così si potranno ridurre davvero le bollette e aiutare allo stesso tempo l’ambiente e le famiglie ad abbattere i costi”

Dalla stalla alla strada – Coldiretti propone al governo un audace piano alternativo. Con lo sviluppo del biometano agricolo made in Italy “dalla stalla alla strada” è possibile immettere nella rete 6,5 miliardi di metri cubi di gas “verde” da qui al 2030 e arrivare a rappresentare il 10% del fabbisogno della rete del gas nazionale, riducendo la dipendenza del Paese dall’estero e fermando i rincari che stanno mettendo in ginocchio le imprese”. Per la presentazione dello studio avvenuta oggi a Roma è stata mobilitata anche la mucca “Giustina” simbolo della battaglia per un prezzo del latte giusto ed onesto.

Potrebbe anche succedere che i problemi si risolvano da soli, almeno per un po’. “Siamo finalmente alla fine di questa spirale crescente dei prezzi” energetici, e “con quasi totale certezza possiamo dire che gli aumenti sono finiti, e invece cominciamo a vedere delle flessioni dei prezzi sul mercato internazionale e sul mercato italiano che ci possono far sperare in un possibile calo addirittura dal 1 aprile”, ha detto oggi Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. Le ragioni, spiega, “sono le solite”, cioè la fine della tensione in Ucraina (non che gli ultimi sviluppi sembrino andare esattamente in questa direzione, ndr) l’arrivo della primavera che riduce i consumi, il pericolo sempre più basso di un’ondata forte di freddo, che, anche se arrivasse, non ci troverebbe impreparati perché “dovremmo avere abbastanza scorte per questo inverno”.

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