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Tatuaggi con inchiostri cancerogeni: boom di richieste di rimozione dopo la normativa Ue. Ma attenzione ai pericoli

A essere vietati non sono gli inchiostri di per sé ma i pigmenti colorati che contengono isopropanolo, sostanza presente nella maggior parte degli inchiostri per tatuaggi, aggiunta per renderli sterili. L'isopropanolo è classificato tra le sostanze potenzialmente cancerogene: “In pratica, con l'esecuzione di un tatuaggio professionale o cosmetico si provoca un’alterazione del derma per inoculazione di un pigmento che si deposita sia all'interno che all'esterno delle cellule”, spiega la dottoressa Arianna Facchini

di Ennio Battista

Dopo le nuove norme Ue più restrittive, sono in aumento le richieste di chi vuole rimuovere un tatuaggio, che si tratti di un nome, un simbolo, un’icona, trucco permanente o microblading, cioè il tatuaggio cosmetico che ridisegna sopracciglia, labbra e occhi. Il rischio è che una volta colorati, questi linfonodi potrebbero iniziare a dare risposte anomale e si creino infezioni e infiammazioni. Una nuova normativa europea, entrata in vigore il 4 gennaio mette al bando proprio gli inchiostri colorati per tatuaggi e trucco permanente. A essere vietati non sono gli inchiostri di per sé ma i pigmenti colorati che contengono isopropanolo, sostanza presente nella maggior parte degli inchiostri per tatuaggi, aggiunta per renderli sterili. L’isopropanolo è classificato tra le sostanze potenzialmente cancerogene. “In pratica, con l’esecuzione di un tatuaggio professionale o cosmetico si provoca un’alterazione del derma per inoculazione di un pigmento che si deposita sia all’interno che all’esterno delle cellule”, spiega la dottoressa Arianna Facchini, chirurgo maxillo-facciale ed esperta di terapie laser. “Una piccola parte del pigmento finisce nel torrente circolatorio (sanguinamento), la restante entro 2-3 mesi si concentra nei fibrobasti del derma nel contesto di un tessuto cicatriziale”, prosegue Facchini.

Dottoressa Facchini, a quel punto che può succedere al nostro organismo?
“Sappiamo già da tempo che frammenti di pigmento migrano nei linfonodi che assumono il colore del pigmento stesso e si rigonfiano (pseudolinfoma). Non ci sono ancora studi a lungo termine che stabiliscano le conseguenze di questo processo; in genere il rigonfiamento dei linfondi è un fenomeno transitorio che si risolve da solo. Tuttavia, in caso di cronicizzazione del rigonfiamento, si potrebbe creare una disregolazione immunitaria con conseguenti infezioni e rischio tumori. È recente invece la scoperta, grazie al microscopio a luce di sincrotone, della dimensione di tali nanoparticelle che, ‘viaggiando’ per via linfatica, possono depositarsi nei vari organi. Da sottolineare infine che i pigmenti contengono metalli pesanti per renderli più luminescenti; per esempio, il rosso contiene mercurio, il giallo cadmio, il verde il cromo, il blu cobalto. Per questo motivo, non sono rari i casi di dermatite allergica che si manifesta con eritema, prurito, edema, indurimento della cute, con compromissione della qualità di vita del paziente e difficoltà ulteriore per la rimozione”.

Gli stessi rischi li corriamo anche per il trucco permanente o microblading?
“Anche nei pigmenti del tatoo cosmetico sono presenti coloranti organici e metalli pesanti; gli inchiostri di colore scuro, rosa o carneo sono in genere mischiati con il bianco. Abbiamo quindi tracce di nichel, biossido di titanio, cromo, manganese, anche se in minor quantità. In ogni caso, si verifica sempre una migrazione di pigmento nei linfonodi distrettuali”.

Tra i trattamenti per la rimozione meno invasivi e più efficaci, si considera il laser al neodimio. In cosa consiste?
“Il laser a neodimio si basa sul principio di fototermolisi selettiva, ovvero l’energia erogata viene convertita in calore che distrugge selettivamente l’inchiostro del tatuaggio, il ‘cromoforo’ bersaglio. Ogni colore assorbe specifiche lunghezze d’onda. Quando l’energia colpisce le particelle, le frammenta e le disperde (onda fotoacustica); le particelle più piccole sono eliminate per estrusione dall’epidermide, fagocitate dai macrofagi e drenate per via linfatica. La pelle circostante assorbe una minima energia e rimane indenne. Inoltre il laser altera le proprietà ottiche del pigmento residuo rendendolo meno visibile. I laser utilizzati per la rimozione dei tatuaggi si chiamano Q-Switched, generano impulsi a elevata potenza con durate di impulso molto brevi: si tratta di nanosecondi o addirittura di picosecondi”.

Quali altri metodi possono essere utilizzati per la rimozione?
“L’alternativa al laser Q-Switched a nanosecondi è quella del laser a picosecondi che emette un impulso circa 100 volte più breve del nanosecondo con picchi di energia più alti. L’azione è solo foto-acustica e non anche foto-termica come nei laser tradizionali. Quindi non c’è diffusione di energia termica nei tessuti, e ciò lo rende ancora più efficace e sicuro. I tempi di trattamento sono inoltre minori. Avendo più lunghezze d’onda lavora bene anche su pigmenti difficili da trattare (blu/celeste, verde, grigio). Comunque entrambi i laser in mano a uno specialista esperto sono efficaci nella rimozione dei tatuaggi. Altre tecniche come la dermoabrasione o il peeling chimico sono meno efficaci del laser e comportano maggiori rischi di esiti cicatriziali. L’escissione chirurgica rimane la tecnica più rapida soprattutto nel caso di tatuaggi di piccole dimensioni, comportando tuttavia la presenza di cicatrice pari alla lunghezza del tatuaggio”.

Ma allora, esiste l’eventualità che l’impronta del tatuaggio rimanga anche dopo questi trattamenti?
“Consideriamo un risultato ottimale nel trattamento con laser, la non visibilità del tatutaggio a un metro di distanza in quanto è possibile che a una distanza minore siano percepibili modesti aloni di pigmento, ovvero tracce di iperpigmentazione o ipopigmentazione cutanea”.

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