Sale ancora lo spread, ossia il differenziale di rendimento tra titoli di Stato decennali italiani e tedeschi, e in mattinata tocca quota 154 punti, Il rendimento di un Btp a dieci anni ha raggiunto l’1,73%. A salire sono anche i rendimenti dei titoli tedeschi, tornati in positivo, ma il rialzo è inferiore a quello dei Btp e quindi il divario cresce. Il movimento al rialzo riguarda tutti i bond (Spagna + 3 a 0,97%, Francia + 3 a 0,6%) ma è più forte dove il rischio è considerato maggiore. Quindi i titoli italiani vista la mole del nostro debito pubblico al 157% del Pil. Oppure quelli greci (+ 12 punti a 2,17%). Se i rendimenti salgono significa che i prezzi degli stessi titoli stanno scendendo poiché le vendite sono consistenti. Il rendimento è infatti fisso in valore assoluto ma viene espresso con una percentuale calcolata in rapporto al valore del titolo.

Ad innescare i movimenti al rialzo sono state le dichiarazione di ieri, in alcuni passaggi ritenute incongruenti, della presidente dalla Banca centrale europea che ha riunito il suo consiglio direttivo. La percezione dei mercati è stata che la Bce si stia spostando verso una linea più aggressiva nel contrasto all’inflazione e che quindi un rialzo dei tassi già nel 2022 non è più tabù. Del resto i dati sull’inflazione dell’area euro diffusi mercoledì scorso (5,1% in gennaio) hanno evidenziato un andamento dei prezzi distante da quelle che erano le attese/speranze della banca centrale. Se la Bce alza i tassi titoli che pagano interessi bassi devono allinearsi al nuovo contesto per essere appetibili sul mercato, da qui la discesa dei prezzi, la generalizzata salita dei rendimenti e l’incremento dello spread. Per la stessa ragione l’euro sta guadagnando terreno sul dollaro. I tassi di interesse, indicati anche come “costo del denaro” determinano quanta moneta c’è in circolazione (quanto è conveniente farsela prestare). Se la quantità diminuisce il valore sale.

In marzo la Bce renderà note le sue nuove stime sull’inflazione. Il documento sarà il “viatico” per virare verso una politica monetaria meno espansiva nei mesi successivi. Ieri Christine Lagarde ha affermato che “la situazione dell’inflazione è cambiata” e che “rimarrà alta più a lungo del previsto”. Il tasso ideale dell’inflazione secondo la Bce è del 2%, uno dei modi per cercare di ridurla è appunto quello di diminuire la quantità di moneta in circolazione riducendo l’acquisto di titoli di stato e/o alzando i tassi. Tuttavia se viene meno il ruolo della Bce sul mercato dei titoli di Stato la domanda scende e i prezzi pure. La quantità di Btp italiani detenuti dalla Bce è passata dal 5% del totale del 2015 all’attuale 30% circa. Un altro 20% è in mano alle banche italiane e una fetta del 30% a investitori esteri.

Ieri Lagarde ha anche affermato che “I rendimenti dei titoli europei sono saliti, ma gli spread non si sono allargati in misura significativa e non c’è motivo di pensare che sarà diverso. Ma se (un aumento degli spread, ndr) ci sarà, ovviamente dovremo rispondere e abbiamo tutti gli strumenti e l’adeguata flessibilità per farlo”. Una dichiarazione a prima vista difficile da conciliare con l’impegno di contrasto all’inflazione. In una delle sue prime dichiarazioni pubbliche nel ruolo di presidente della banca centrale, il 12 marzo del 2020, Lagarde aveva affermato in merito ai compito della Bce: “Non siamo qui per chiudere gli spread”. Dichiarazioni che fecero schizzare i rendimenti dei Btp da 1,25 a 2,75% inducendo la presidente ad una repentina marcia indietro.

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