Ci sono due regole che hanno mostrato la loro inadeguatezza nella recente elezione del presidente della Repubblica. La prima è l’articolo 85 della Costituzione che non esclude il doppio mandato, permettendo a un presidente di restare alla guida della Repubblica Italiana per 14 anni, un’enormità.

La seconda legge che ha mostrato una lacuna è la n. 124 del 2007 sui servizi di sicurezza. L’articolo 21 stabilisce al comma 11 che “in nessun caso il DIS e i servizi di informazione per la sicurezza possono, nemmeno saltuariamente, avere alle loro dipendenze o impiegare in qualità di collaboratori o di consulenti membri del Parlamento europeo, del Parlamento o del Governo nazionali, consiglieri regionali, provinciali, comunali o membri delle rispettive giunte, dipendenti degli organi costituzionali, magistrati, ministri di confessioni religiose e giornalisti professionisti o pubblicisti”; però non vieta che il capo del DIS o dell’Aisi e dell’Aise, cioè i servizi segreti che da quel dipartimento dipendono, possano essere eletti addirittura presidente della Repubblica.

Grazie alla prima ‘lacuna normativa’ Sergio Mattarella non ha traslocato ai Parioli ed è stato rieletto fino al 2029. Grazie alla seconda lacuna invece il capo del Dis, Elisabetta Belloni, è stata a un passo dal traslocare dalla sede del Dis a Piazza Dante al Quirinale.

Ora, in entrambi i casi, l’ascesa e la permanenza al Colle sarebbero state pienamente lecite con la normativa attuale.

Inoltre in entrambi i casi il rischio di una ‘torsione’ della Costituzione materiale (cioè l’insieme di principi e prassi adottate dalla classe politica per colmare le lacune della Costituzione scritta) sarebbe stata o è potenziale, teorica insomma, viste le modalità delle elezioni e la storia dei personaggi: Elisabetta Belloni è capo del DIS da pochi mesi. La sua candidatura è apparsa all’orizzonte per poi tramontare nel volgere di pochi giorni. Le informazioni da lei detenute in qualità di capo del DIS non hanno avuto alcuna influenza nel processo decisionale a dir poco anomalo e poco ragionato che ha portato a farne la favorita in un determinato momento della corsa al Colle.

Allo stesso modo Sergio Mattarella non ha fatto nulla per usare la sua carica per mantenerla e avrebbe lasciato volentieri il posto a un successore.

Val la pena di aggiungere una considerazione. La storia dei rapporti di Matteo Renzi con ufficiali dei servizi segreti come Marco Mancini e con manager e ufficiali amici in predicato di dirigere l’agenzia della Cybersecurity, o di ascendere ai vertici dei servizi stessi, lo rendono poco credibile nel ruolo di alfiere della separazione tra l’intelligence e la politica.

Tutto ciò detto, bisogna pure ammettere che effettivamente il passaggio del capo del DIS, dell’Aisi o dell’Aise direttamente a presidente della Repubblica pone alcuni problemi. Abbiamo spiegato perché il caso Belloni è, nella pratica, diverso: il capo del Dipartimento non viene dal mondo dell’investigazione ma da quello delle ambasciate. Belloni è stata per 35 anni una funzionaria e poi una dirigente che ha lavorato alla Farnesina con i ministri di tutti i partiti (da Fini a Frattini, da Terzi di Santagata – oggi in FdI – ad Alfano, da Gentiloni a Di Maio) prima di diventare capo del Dipartimento. Un posto il suo che, va detto, non è assimilabile al capo della Cia o dell’ex Kgb, perché il capo Dis ha solo un ruolo di coordinamento. In più Belloni per soli sette mesi ha coordinato i servizi con un referente intermedio: il sottosegretario Franco Gabrielli, che vanta l’esperienza di ex capo della Polizia e dell’Aisi e che si trova a diretto contatto con il premier Draghi.

La questione però va osservata in astratto, dimenticando il volto dell’ambasciatrice Belloni per dare un giudizio freddo sulla teorica nomina a capo dello Stato di un direttore del Dis dell’Aisi o del’Aise. Se al posto di Elisabetta Belloni immaginassimo personaggi ben più addentro ai segreti delle indagini e della repubblica, forse anche il nostro giudizio ne risentirebbe.

Se per esempio il capo dei servizi segreti interni del secondo Governo Berlusconi, l’ex direttore del SISDE Mario Mori, fosse stato nominato presidente della Repubblica al posto di Ciampi o se l’ex capo del DIS del terzo Governo Berlusconi, nel 2008, Gianni De Gennaro, fosse stato proposto al posto di Napolitano, cosa avremmo detto?

Allo stesso modo però anche il bis al Quirinale cambia di sapore se immaginassimo un doppio mandato di un presidente attivista e poco equilibrato come Francesco Cossiga. In quel caso la ‘torsione’ della Costituzione materiale che oggi passa in secondo piano nei commenti entusiasti somiglierebbe molto di più a uno strappo. Insomma, se le regole vanno scritte prescindendo dalle qualità degli uomini e delle donne che dovranno rispettarle, non si può lasciare aperta la strada a una nuova corsa al Quirinale di un ex presidente perché pone problemi ben maggiori di quello posto da un capo del Dipartimento che, sotto Draghi e Gabrielli, ha coordinato per sette mesi i servizi di sicurezza.

Con l’ulteriore differenza che nei prossimi decenni probabilmente non si porrà più il tema di un capo DIS al Quirinale mentre – dopo i casi Napolitano e Mattarella – nessuno può escludere un altro bis. Mentre un parlamentare dell’Area riformista di Lotti e Guerini – Enrico Borghi – sta preparando una proposta di legge per evitare un passaggio dal Dis al Quirinale sembra passare in secondo piano il tema del bis.

Se si mettesse da parte la propaganda invece delle due riforme appare più impellente la modifica dell’articolo 85 della Costituzione, già proposta peraltro da un ddl a firma dei senatori Dario Parrini, Luigi Zanda e Gianclaudio Bressa. L’approvazione del divieto del doppio mandato in questo momento non sarebbe ‘offensiva’ per un presidente in carica da sette anni appena riconfermato e potrebbe passare velocemente con la stessa ampia maggioranza che ha varato il Mattarella bis. Poi si potrà approvare con calma anche la modifica della legge per impedire i passaggi dai servizi segreti non solo al Colle ma anche alle altre cariche istituzionali.

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