Tutto è partito da quella chiacchierata in Senato, poco prima di Natale, nella lunga notte di approvazione della manovra di bilancio. In quella che è diventata una fotografia plastica a uso e consumo di fotografi e cronisti, Matteo Renzi e Matteo Salvini si sono saluti con una promessa: tenere aperto un canale di comunicazione nei giorni cruciali del Colle. Un telefono rosso da alzare all’occorrenza, come quello utilizzato dai presidenti di Usa e Urss durante la guerra fredda. Ebbene, quel telefono ha squillato tre giorni fa, a chiamare è stato Renzi. “Matteo, ma se mandassimo Draghi al Quirinale e facessimo un bel governo tutto nuovo con dentro tutti noi…?”, il tono della proposta di Renzi a Salvini. L’altro ha accarezzato l’idea, che però ora è già tramontata per lo stop di Enrico Letta.

Sul campo, però, resta lo schema del patto tra i due Mattei: Draghi al Quirinale e nuovo governo, con la conferma di alcuni ministri in carica ma anche facce nuove. E di fronte a questa ipotesi Enrico Letta sarebbe invece interessato. “In queste ore c’è qualche elemento di positività, ma siamo solo all’inizio”, ha detto il segretario del Pd. Per ora non dirà di più fino a sabato, quando si terrà la direzione del partito che lo investirà ufficialmente della trattativa sul Colle. Poi i giochi si apriranno davvero.

“Il fatto è che Renzi si è resto conto che, nonostante i suoi 42 parlamentari, non potrà essere lui il king maker sul Quirinale. Così si è convinto che potrà incidere di più sul governo che sul Colle. Da qui la decisione di tornare a puntare su Draghi come successore di Sergio Mattarella, per poi aprire la partita sul nuovo esecutivo”, racconta un deputato sempre molto informato, chiacchierando su un divanetto di Montecitorio. Il Palazzo è semivuoto ma in gran fermento: in cortile gli operai lavorano senza sosta per montare una tensostruttura che accoglierà i 1009 grandi elettori convocati per lunedì 24 gennaio.

L’azione di Renzi e Salvini, però, ha qualche chance di andare in porto solo se riesce la triangolazione con Letta. Perché senza di lui il castello non regge. Se il Pd sarà della partita, poi si passerà alla seconda fase. Ai dem toccherà convincere Giuseppe Conte, che però difficilmente potrà opporsi, visto che questo quadro garantisce la prosecuzione della legislatura fino alla scadenza naturale, nel 2023. Ma qui il gioco si fa più sottile perché, se Letta parla con Conte, Renzi e Salvini, cavalcando le divisioni dei pentastellati, interloquiscono con Luigi Di Maio. “Lui e Salvini si sono sentiti qualche giorno fa per la prima volta dopo tantissimo tempo. Sembrava di esser tornati ai tempi del governo giallo-verde”, racconta un senatore grillino.

Al leader leghista spetterà poi il compito più gravoso: quello di convincere Silvio Berlusconi al passo indietro. E lo potrà fare solo numeri alla mano. “Col pallottoliere Salvini dovrà mostrare a Berlusconi l’impossibilità della sua elezione. O ci riesce entro il 24 oppure entro il 27, quando si andrà alla quarta votazione. Aprendo a quel punto un’autostrada a Draghi”, continua la nostra fonte.

Nel vertice del centrodestra venerdì a Villa Grande il Caimano tenterà di fare l’opposto, ovvero convincere gli alleati che i numeri ci sono, ma gli sarà impossibile dimostrarlo. Per questo il summit rischia di essere l’ennesimo passaggio a vuoto. Le rassicurazioni di Salvini (“il centrodestra è compatto su Berlusconi, non accettiamo veti da nessuno”) sembrano servire solo a calmare un ex Cavaliere molto nervoso per le uscite leghiste giorno prima del capogruppo Riccardo Molinari e dello stesso Capitano, che ha evocato “un governo che andrà avanti anche senza Draghi”. Cioè con l’attuale premier al Quirinale e la Lega ben presente nel futuro esecutivo.

Così, se dal Ppe continuano ad arrivare endorsement pro-Silvio (“Berlusconi è un ottimo candidato alla presidenza della Repubblica”, ha detto Manfred Weber), dai centristi s’invita alla prudenza. “Berlusconi deve fare bene i conti prima di decidere se candidarsi o no. E’ molto difficile che questo parlamento possa eleggere un capo dello Stato portato da una sola parte”, ha spiegato Gaetano Quagliariello alla trasmissione radiofonica Un giorno da pecora. Mentre Gianni Letta, uscendo dalla camera ardente per David Sassoli, è addirittura ecumenico. “Per l’elezione al Colle ci si dovrebbe ispirare allo straordinario clima di serenità e armonia che si è respirato in Parlamento per la commemorazione di Sassoli…”, ha detto il Gran Ciambellano. “Parole molto sagge”, ha commentato Renzi. Che proprio stonano con la pazza voglia di Colle dell’ex Cavaliere e spingono anch’esse verso Mario Draghi.

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