Quello che si appresta ad eleggere il nuovo capo dello Stato da lunedì 24 gennaio è un Parlamento indebolito, se non addirittura delegittimato come sostengono anche molti costituzionalisti, a seguito della drastica riduzione dei suoi componenti già operata dal referendum, obiettivamente destabilizzato dal passaggio in massa di transfughi e fuoriusciti da un gruppo all’altro e secondo i sondaggi ben poco rappresentativo della volontà popolare.

E, probabilmente, se i grandi elettori avessero solo minimamente presenti queste semplici, stringenti verità e non fossero solo ossessionati dal terrore del voto anticipato e/o dal timore di non raggiungere l’agognata pensione, la consueta danza per il Colle a due settimane dalla prima chiama sarebbe un po’ meno caotica, avvilente e indecorosa. Basti considerare l’autocandidatura di B. che, mentre intensifica la campagna acquisti, alterna alle lusinghe le minacce: “Senza Draghi premier Forza Italia lascia la maggioranza e si va al voto”. La preoccupazione diffusa tra osservatori e cittadini responsabili è dovuta al fatto che, se è pur vero che gli attuali ospiti del Parlamento in un tempo relativamente breve libereranno gli scranni dove un buon terzo di loro non tornerà a sedere, il danno alla credibilità delle istituzioni prodotto da un’elezione per vari profili irrispettosa dei principi costituzionali e inadeguata rispetto alla gravità del momento sarebbe molto rilevante e irreparabile.

Quanto poi potrebbe ulteriormente pregiudicare la correttezza della votazione un numero di assenze dovuto a contagi e quarantene quantificabili nell’ordine di 100/150, stando alle proiezioni di qui al 24 e giorni a seguire, l’ha spiegato a Un’ora e 1/2 in più il costituzionalista Francesco Clementi, sottolineando che deve essere posta in essere ogni misura per garantire la presenza dei 1009. Ma le problematiche per proteggere adeguatamente i grandi elettori sono molteplici e non si risolvono solo con il mettere a disposizione più aule o con l’introduzione molto ipotetica e controversa del voto a distanza: ci sarebbe anche la situazione, da sanare in pochissimo tempo con una corsia preferenziale, degli sprovvisti di Super green pass impossibilitati a spostarsi in aereo o in traghetto.

Una situazione talmente seria ed eccezionale che ha persino indotto un parlamentare di lunghissimo corso (ed esperienza) come Osvaldo Napoli, ora approdato a Coraggio Italia, a prefigurare, nel caso di un numero di assenze che alla quarta votazione impedisse di raggiungere il quorum di 505 elettori, un’appello a Mattarella per indurlo a rimanere in regime di prorogatio, verosimilmente fino alla conclusione della legislatura. E quanto il desiderio o il sogno di continuità serpeggi da più parti è stato plasticamente confermato dalla pressione quasi unanime dei senatori del M5S su Conte a favore del bis di Mattarella, come dall’ufficializzazione della proposta di confermarlo al Colle da parte dei Giovani turchi Matteo Orfini e Francesco Verducci, che sostengono di rappresentare “una sensibilità diffusa nel Pd”.

Il fatto che sia ritornata in campo un’opzione platealmente esclusa dall’interessato, e che sembrava definitivamente archiviata, è da collegare non solo ed esclusivamente alla nuova (abbastanza prevedibile) ondata pandemica scatenata dalle varianti e nemmeno alla sincera e irrefrenabile manifestazione di stima che i cittadini italiani continuano a riservare al Capo dello Stato, alla Scala come alla Festa del Cinema di Roma, nelle piazze come nelle rilevazioni dei sondaggi. Il revival dell’opzione Mattarella sembra quasi una risposta indiretta all’enorme disappunto venato di rivalsa e di panico che ha dominato trasversalmente i gruppi parlamentari dopo la conferenza stampa di fine anno in cui il presidente Mario Draghi ha manifestato la sua disponibilità (nonché il suo desiderio) di traslocare al Colle. E nonostante gli fosse stato richiesto da più parti e a gran voce di esprimersi, di smettere di trincerarsi dietro le battute, di essere finalmente trasparente, “mal gliene incolse”. E’ stato come scoperchiare il vaso di Pandora dell’insofferenza, del desiderio di rivalsa, delle frustrazioni dei partiti della sua eterogenea maggioranza extralarge, quasi che fossero stati presi in ostaggio e manovrati a loro insaputa dal malefico burattinaio, intenzionato, dopo averli usati, a scalare i vertici istituzionali fino al Quirinale.

E intanto, giorno dopo giorno, si allarga la variopinta congerie che invoca con appelli accorati il suo ruolo fondamentale e necessario al Governo per imbullonarlo a palazzo Chigi. Mentre le difficoltà aumentano, i partiti sono sempre più spaccati e litigiosi in vista della campagna elettorale e, come da previsione, i grandi laudatores mediatici hanno iniziato a derubricarlo a ex Supermario.

Non c’è solo Matteo Salvini a stopparlo senza mezzi termini perché “non può abbandonare a lavori in corso”, aggiungendo che personalmente lui si sta impegnando “per l’elezione di un presidente di centrodestra dopo trent’anni“, e lo fa supportato dal vicesegretario della Lega Attilio Fontana e da numerosi e influenti governatori, lasciando anche intendere che senza Draghi la Lega si sfilerebbe dal Governo. Al coro dei super allarmati, ovviamente, oltre all’autocandidato di Arcore che vede in Draghi l’ostacolo più consistente, si sono uniti in patria anche due sponsor – o almeno autoproclamati tali – della levatura di Carlo Calenda e Matteo Renzi, nonostante quest’ultimo sia impegnato da mesi sul fronte Casini/Berlusconi (rispettivamente piano A e piano B); e dagli Usa persino Goldman Sachs ha ritenuto di esprimere apprensione e preannunciare “notevoli implicazioni di mercato” a seguito di un’eventuale trasloco al Colle e conseguenti incertezze per un nuovo governo.

In sintesi, parrebbe che in questo ultimo e decisivo scorcio della danza quirinalizia, vagamente macabra, stia prevalendo, grazie anche alla “opportunità” della quarta ondata, l’anatema già lanciato da Augusto Minzolini, in prima fila per l’elezione di B., contro “Draghi disertore” se va al Quirinale. Così moltiplicano le voci, per lo più compiaciute, della sua probabile rinuncia alla corsa per il Colle. E un convinto sostenitore della sua elezione a larga maggioranza prima della quarta votazione, come Paolo Mieli, ritiene possibile il suo ritiro dalla competizione per il Quirinale, dato che “è stato creato un sistema perfetto per distruggerlo”, ma ipotizza pure che molli tutto appena la situazione pandemica lo consentirà visto che “nessuno l’ha candidato per il Quirinale ma tutti pensano di sostituirlo a palazzo Chigi”.

E non ci sarebbe niente di particolarmente nuovo sotto il cielo della politica e dell’informazione in Italia: da “santo subito” a “fuori dai giochi” il passo è breve, non da oggi, e ora più che mai. Quanto al Quirinale, se ci fosse qualche chance di candidature prestigiose o quanto meno decorose e non “consunte” nulla quaestio: ma finché in campo ci sono B. o la Casellati, di cui si parla poco ma è la donna del centrodestra, oppure Giuliano Amato e Pierferdinando Casini (a sinistra?) si può solo confidare che Mattarella “acconsenta” (e abbia i voti non scontati di Salvini e Giorgia Meloni) ma anche rammaricarsi un po’ per l’esclusione di Draghi.

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Quirinale, Letta a La7: “Berlusconi ha telefonato anche a parlamentari del Pd. Su sua candidatura nessun negoziato col centrodestra”

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