Assolto con la vecchia formula dell’insufficienza di prove. Si chiude in questa maniera l’ennesimo capitolo della lunga vicenda giudiziaria a carico dell’ex presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo. Così ha deciso la Corte d’Appello di Catania poche ore dopo essersi chiusa in camera di consiglio. Un processo bis in Appello per Lombardo dopo che la Cassazione aveva annullato la precedente sentenza, disponendo un nuovo processo di secondo grado. L’accusa, sostenuta dai magistrati Agata Santonocito e Sabrina Gambino, aveva chiesto la condanna a sette anni e 4 mesi. Lombardo era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale. “Leggeremo le motivazioni della sentenza e valuteremo se fare ricorso”, commenta la sostituta pg Gambino. “Siamo molto soddisfatti. Questa assoluzione è un risultato che rende giustizia alla verità”, ha detto l’avvocata Maria Licata, uno dei due legali dell’ex governatore.

La vicenda giudiziaria di Lombardo comincia nel dicembre del 2009 con l’inchiesta Iblis: secondo le indagini e le intercettazioni del Ros c’erano rapporti diretti tra Rosario Di Dio, esponente del clan Santapaola, e l’allora leader del Movimento per l’Autonomia. L’ex governatore si era subito difeso dalle accuse dichiarando di non aver “mai preso soldi dalla mafia per finanziare una campagna elettorale. La mafia i soldi li prende, non li dà”. Secondo Lombardo quegli incontri erano stati di natura politica: “Qualche mano di troppo l’ho stretta, gli incontri che ho avuto con alcune delle persone i cui nomi sono nell’inchiesta di Catania sono stati casuali e non voluti”. Era il novembre del 2010, l’autonomista siciliano parlava alla stampa convocata dopo la fuga di notizie che dava già per firmato il suo arresto. L’arresto non fu confermato, ma le accuse sì. E da allora ha preso vita una vicenda giudiziaria che ha visto un susseguirsi di sentenze contraddittorie, ma solo dopo un agguerrito braccio di ferro all’interno della stessa procura etnea: durante la fase d’indagine si creò una feroce frattura tra i magistrati catanesi, dando vita a un tira e molla sulle sorti giudiziarie dell’allora presidente della Regione già in fase preliminare. Era il 24 maggio del 2011, quando in cancelleria veniva depositata la richiesta di rinvio a giudizio a carico di Vincenzo Aiello e altri 55: tra questi figuravano i nomi di Raffaele Lombardo e del fratello Angelo. A firmare la richiesta erano stati i pm Giuseppe Gennaro, Agata Santonocito (che anche oggi rappresentava l’accusa in Appello), Antonino Fanara e Iole Boscarino, in forza alla Direzione distrettuale antimafia.

Un mese dopo il procuratore facente funzione Michelangelo Patanè e l’aggiunto Carmelo Zuccaro (oggi capo della procura di Catania), firmarono un altro rinvio a giudizio stralciando la posizione dei Lombardo. I cinque pm intestatari dell’inchiesta non si diedero però per vinti rivolgendosi al Csm. Il ping pong tra magistrati è stato poi risolto dal gip Luigi Barone che nel marzo del 2012 ha chiesto l’imputazione coatta per Lombardo. Così è iniziata un’altra lunga fase giudiziaria. Nel febbraio del 2014, alla fine del processo di primo grado, la gup Marina Rizza condanna l’ex presidente siciliano a sei anni e otto mesi. Sentenza che non è stata confermata però in secondo grado. La prima sentenza di Appello, del 2017, lo aveva, infatti, assolto dall’accusa di concorso esterno ma condannato a due anni, con pena sospesa, per corruzione elettorale aggravata seppure senza intimidazione e violenza. Ma la Cassazione, tre anni fa, non è stata d’accordo e ha annullato tutto con rinvio, disponendo cioè un nuovo processo, riconfermando per Lombardo l’accusa per concorso esterno. Tutto da rifare dunque, fino alla sentenza di oggi: la prova non assume quella consistenza ed efficacia tale da poter fondare una affermazione di responsabilità. Lombardo, in sostanza, non può essere condannato. Un’altra vittoria per l’ex presidente che era stato già arrestato nel lontano 1992, e poi nel 1994: è stato prosciolto da tutte le accuse.

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