Le indagini sull’omicidio dell’ambasciatore in Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo sono alle battute finali. Presto il procuratore aggiunto di Roma, Sergio Colaiocco, dopo un ultimo confronto con i Ros, chiuderà la fase istruttoria e depositerà gli atti. Dagli approfondimenti, emergono non solo chiare responsabilità nella malagestione della sicurezza da parte del World Food Programme (Pam), ma addirittura l’alterazione del documento di viaggio trasmesso alla Monusco (la missione Onu in Congo) nel quale si parla di personale Pam a bordo e non si fa menzione dell’ambasciatore e del carabiniere di scorta: per questo Mansour Rwagaza, il responsabile della sicurezza del Pam, è iscritto nel registro degli indagati. Ma l’organizzazione continua a opporre l’immunità dei suoi funzionari alle richieste avanzate dai pm. Anzi, risulta che tutti i funzionari implicati nella vicenda siano stati nel frattempo trasferiti lontano da Goma. Un atteggiamento incomprensibile, per la famiglia. Ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con il padre dell’ambasciatore, Salvatore Attanasio.

Ingegnere, cosa pensa dell’ostruzionismo del Pam?
Si tratta di un atteggiamento molto preoccupante, parliamo di testimoni oculari e non si capisce perché il Pam opponga l’immunità diplomatica. Perché vogliono proteggerli? A nostro avviso è un fatto gravissimo che fa nascere forti dubbi sull’accaduto. Hanno qualcosa da nascondere? Da cosa li vuole proteggere? Se sono estranei a responsabilità che vadano oltre la leggerezza, perché coprirli? Ce lo devono spiegare. È immorale questo atteggiamento di fronte a un triplice omicidio.

Finora i sospetti si concentrano tutti sul referente della sicurezza, Mansour Rwagaza, che è indagato. Lei ritiene questa una lettura sufficiente?
Ci si ferma a Rwagaza? E le responsabilità di Rocco Leone (anche lui parte del convoglio Pam, ndr)? Come vice-responsabile del Pam in Congo, non poteva non conoscere i protocolli di sicurezza, doveva accorgersi dell’errore. Perché non è intervenuto?

Oltre all’ostruzionismo del Pam, anche il governo congolese non ha finora fornito le autorizzazioni necessarie a un nuovo viaggio dei Ros. Perché secondo lei?
Le autorità locali devono garantire la sicurezza dei nostri investigatori. E questa responsabilità pare non vogliano assumersela. Ma io spero ancora che i Ros vengano autorizzati a compiere un ultimo viaggio a Goma prima della chiusura delle indagini. Se avevano programmato il viaggio è perché hanno ancora approfondimenti da fare sul posto.

Quali punti richiedono ancora chiarimenti?
Parecchi, a partire dalla ricostruzione esatta della dinamica dei fatti e del perché non sia stata garantita l’adeguata sicurezza. Non dimentichiamo poi che la sera prima era stata dichiarata un’allerta a Goma. Possibile che il Pam non ne fosse a conoscenza? Perché hanno autorizzato il viaggio? La settimana prima, un altro convoglio di diplomatici aveva viaggiato su quella stessa strada con tutte le necessarie protezioni. Rwagaza era responsabile una settimana prima e lo era la settimana dopo, allo stesso modo. Inoltre, ripeto, com’è possibile che i suoi capi non fossero a conoscenza della situazione sicurezza in quel tratto di strada? Devono dare spiegazioni, altro che immunità. Parliamo di un viaggio preannunciato, organizzato fin dalla partenza a Kinshasa dal Pam. Parliamo anche di documenti manomessi, ne devono rispondere davanti a un giudice. Perché lo abbiano fatto non lo so.

In questi mesi a suo figlio Luca e a Vittorio Iacovacci sono stati assegnati moltissimi premi e riconoscimenti. Sono state pronunciate parole chiare e forti dal presidente Mattarella, dal premier Draghi, dal ministro degli esteri Di Maio. Cos’altro può essere fatto?

L’immunità non è data per concessione divina, le cose si possono cambiare. Basterebbe condizionare i prossimi finanziamenti al Pam al loro impegno per la ricerca della verità. Le azioni coercitive ci sono, indipendentemente dai trattati sottoscritti. E noi non ci arrenderemo. Ci aspettiamo una presa di posizione forte sia dal governo italiano, del cui appoggio siamo certi, che da parte dell’Europa, da cui invece finora non è arrivato nulla di tangibile. L’uccisione di un ambasciatore non può essere derubricata a incidente, non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Unione europea, di cui l’Italia è membro fondatore. L’Ue ha una forza in più rispetto al peso dell’Italia da sola. Il mese scorso ho avuto un contatto telefonico con David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, che mi ha assicurato impegno. Da allora, però, ancora nulla di concreto. Se l’intera Europa vincolasse i fondi alla collaborazione del Pam nelle indagini, potremmo ottenere dei risultati.

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