Davide Paitoni ha sgozzato e poi chiuso in un armadio il corpo del figlio Daniele di 7 anni per vendicarsi della ex, madre del bambino, che lo aveva denunciato per lesioni e minacce e aveva chiesto la separazione. Diverse testate riferiscono di ‘tentativi di riconciliazione’ respinti dalla madre del piccolo Daniele, che denunciando violenze aveva chiesto, inutilmente, protezione allo Stato sia per se stessa che per il figlio.

Nonostante le denunce per violenza familiare e minacce, Paitoni aveva potuto stare con il figlio il 31 dicembre: lo prevedeva il provvedimento di separazione disposto dal tribunale di Varese (così si legge nelle pagine della cronaca). Il diritto di visita non gli era stato sospeso anche se si trovava agli arresti domiciliari per aver accoltellato alla schiena un collega di lavoro. Nelle larghe maglie istituzionali nessuno si era fatto carico di valutare l’opportunità delle visite e di valutare la pericolosità di Paitoni.

Il piccolo Daniele diventa così l’ennesima vittima non tanto di un vuoto legislativo, ma di un vuoto di coscienza, funzioni e responsabilità istituzionali che garantiscono a uomini violenti il diritto di frequentare i figli. Dal 31 dicembre si allunga la lista di bambini uccisi da padri violenti che hanno potuto incontrare i figli, nonostante lo svelamento di violenze.

Sulla pagina Facebook ‘In quanto donna’ – amministrata dalla giornalista Emanuela Valente che da molti anni registra femminicidi e figlicidi curando l’angosciante memoria di crimini commessi nelle relazioni di intimità – si ricordano: Claudio, 16 mesi, gettato nel Tevere; Laura, 12 anni, uccisa a coltellate dal padre Roberto Russo (che accoltella anche la madre ospite in struttura protetta, il 23 giugno 2019); Alessia e Livia Schepp, 6 anni, scomparse il 30 gennaio 2011 mentre erano col padre Mattias Schepp, suicida. I corpi delle bambine non sono mai stati trovati, la madre spera ancora di ritrovarle; Andrea, 11 anni, e Davide, 9 anni, uccisi e dati alle fiamme dal padre Pasquale Iacovone mentre erano a casa sua nonostante la mamma avesse già presentato dieci denunce per minacce e violenze, il 16 luglio 2013.

Il figlicidio più recente è quello del piccolo Matias, assassinato il 16 novembre scorso, dal padre Mirko Tomkow. L’elenco di bambini assassinati durante le visite paterne in situazioni di maltrattamenti denunciati (a parte Mario Bressi e Mattias Schepp, tutti gli altri figlicidi citati sono avvenuti dopo che le madri avevano denunciato maltrattamenti o violenze) non si esaurisce qua ed è destinato ad allungarsi se i tribunali civili e dei minori o i servizi sociali continueranno ottusamente a non vedere la violenza, a non credere alle donne per pregiudizi o a minimizzare maltrattamenti riducendoli a conflitti.

L’ostacolo maggiore alla tutela dei bambini viene da quei costrutti ideologici che vanno sotto il nome di bigenitorialità e alienazione parentale, legati a quell’affido condiviso che – lungi dall’essere un diritto del bambino a frequentare entrambi i genitori – è diventato, nella sua applicazione, restaurazione della patria potestà che garantisce a qualunque padre, anche se violento, il diritto di incontrare i figli.

Se conosciamo il destino iniquo di bambini assassinati durante il diritto di visita paterno, ben poco sappiamo delle centinaia di bambini e donne che sono costretti a sottostare a minacce, abusi e violenze da parte di ex e padri violenti a causa dell’affido condiviso deciso nei provvedimenti dei tribunali civili o minorili, nonostante denunce o processi o addirittura condanne. Tutto questo non è la parte peggiore della condizione vissuta dalle donne che chiedono protezione per i figli. Alcune sono accusate di alienazione durante Consulenze tecniche d’ufficio e perdono addirittura il collocamento o la responsabilità genitoriale. Per questo l’associazione Dire, che oggi ha pubblicato un commento sull’ennesimo crimine contro un bambino, ha scelto di realizzare un Osservatorio sulla vittimizzazione istituzionale di cui renderà pubblici i dati nel corso del 2022.

L’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Strasburgo per i pregiudizi che si giocano sulla pelle delle donne vittime di violenza, mentre il Grevio che monitora sulla corretta applicazione della Convenzione di Istanbul e la Special Rapporteur contro la violenza alle donne che verifica la corretta applicazione della Cedaw hanno riscontrato le stesse criticità: rimozione della violenza, pregiudizi sessisti contro le donne.

Se l’Italia non è un Paese per donne, lo è ancora meno per le donne e i bambini vittime di violenza. Se tutto questo non susciterà una presa di coscienza nelle istituzioni si continueranno a contare gli assassinii di bambini in nome della ottusa, cieca e dogmatica applicazione della bigenitorialità.

Articolo Successivo

Roma, nel campeggio nasce un centro per persone senza fissa dimora: “Nei bungalow 20 posti per proteggersi dal freddo”

next