Si vola! Non solo con i razzi privati ma anche con i patrimoni che continuano a crescere. Negli ultimi 12 mesi i 500 individui più ricchi del pianeta hanno visto aumentare i loro patrimoni di mille miliardi di dollari (880 miliardi di euro). Il 2021 è stato insomma molto generoso con chi ne aveva meno bisogno, avaro con gli altri: 150 milioni di persone sono scivolate in una condizione di povertà estrema. Sono gli effetti della pandemia e degli interventi messi in campo da governi e banche centrali per sostenere economie e mercati. Chi è in qualche modo “agganciato” a questi mercati viene trascinato verso l’alto, tutti gli altri scivolano più in basso. I dodici mesi appena conclusi hanno visto un rialzo dei mercati azionari statunitensi di quasi il 30%, terzo anno consecutivo di crescita a doppia cifra. Ma la quasi totalità dei prodotti finanziari si concentra nelle mani dei più benestanti. Negli Stati Uniti il 91% dei guadagni azionari è andato ad esempio, a favore del 10% più ricco della popolazione. Altrove le proporzioni sono simili.

In cima alla classifica c’è ancora lui: Elon Musk. Il patron di Tesla che, secondo quanto ricostruisce Bloomberg, dispone oggi di un patrimonio pari a quello che fu a inizio ‘900 di John D. Rockefeller, il “ricco” per eccellenza della storia occidentale. Nell’ultimo anno Musk ha visto crescere il suo conto in banca del 75% sfondando quota 273 miliardi di dollari. Annata invece quasi deludente per il “rivale spaziale” Jeff Bezos che ha racimolato in un anno “appena” 4 miliardi di dollari e sale a 194 miliardi. Del resto il botto Bezos l’aveva fatto l’anno prima quando, per effetto del boom ricavi garantito dalle chiusure dei normali esercizi commerciali legate ai lockdown, aveva visto le azioni della sua Amazon quasi raddoppiare. Il 2021 è stato invece migliore per Telsa, le cui azioni salite del 45%.

Al terzo posto si piazza il primo e unico europeo, il francese Bernard Arnauld che regna sulla galassia del lusso Lvmh, e che e che si trova sul conto 62 miliardi di dollari in più rispetto a fine 2020. A seguire i soliti noti, nell’ordine Bill Gates (138 miliardi, + 6,6 miliardi nel 2021), Larry Page di Google (129 miliardi, + 47 mld), Mark Zuckerberg di Facebook (128 mld, + 25 mld), Sergey Brin, sempre di Google (124 miliardi, + 45), Steve Ballmer di Microsoft (120 mld, + 40), il finanziere Warren Buffett (109 miliardi, + 22) e infine Larry Ellison di Oracle (108 miliardi con un incremento di 28 in un solo anno).

Andrebbe anche quasi tutto bene, non fosse che molti di questi sono anche specialisti nel dribblare il fisco facendo sponda sulle legislazioni più favorevoli. Elon Musk ha ad esempio da poco spostato la sua residenza dalla California al Texas per approfittare di un regime fiscale ancora più favorevole. Secondo quanto riporta l’organizzazione no profit Pro Publica ,che ha avuto accesso ad informazioni riservate, il campione mondiale dell’elusione fiscale è l’anziano finanziere statunitense Warren Buffett che, per altro, non perde occasione per lamentarsi pubblicamente dell’iniquità del sistema fiscale statunitense a danno dei più svantaggiati. Buffett è riuscito a pagare un’aliquota dello 0,1% sugli incrementi della sua ricchezza. Un po’ come se un operaio pagasse in tasse 20/30 euro in un anno. Al secondo posto c’è lui, Jeff Bezos, che versa “ben” lo 0,98%. Poi Michel Bloomberg (1,3%) e al quarto posto Elon Musk con un’aliquota del 3,7%. Nell’ultimo anno il patron di Tesla ha messo in atto un’ articolata e imponente operazione di vendita e riacquisto di azioni della casa automobilistica, probabilmente per ragioni fiscali. Parte dell’incasso servirebbe a pagare al fisco somme dovute ma non versate negli anni precedenti.

Musk si è scagliato in più occasioni contro la proposta discussa al Congresso statunitense per la tassazione dei profitti non realizzati. Il motivo per cui questi miliardari praticamente non pagano tasse è relativamente semplice. L’incremento della loro ricchezza deriva quasi esclusivamente dalla crescita del valore delle loro partecipazioni. Non è insomma un reddito da lavoro. Queste plusvalenze vengono tassate solo nel momento in cui la partecipazione viene ceduta, in teoria anche mai . L’ipotesi discussa al Congresso, modellata sulla proposta dell’economista Gabriel Zucman, mira invece a introdurre un prelievo sul parte degli incrementi del valore delle partecipazioni indipendentemente dalla loro vendita.

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