Non solo i vertici del Washington Post come l’editore Jeff Bezos, ma anche i familiari di Jamal Khashoggi erano sorvegliati dai servizi segreti dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati nel Golfo. A rivelarlo è lo stesso quotidiano americano per il quale collaborava il giornalista dissidente saudita che secondo l’accusa è stato ucciso e fatto a pezzi all’interno del consolato del Regno a Istanbul, il 2 ottobre 2018. Il giornale cita nuove prove legali che, a loro dire, provano che il cellulare di Hanan el Atr, la moglie del giornalista, fosse intercettato dall’intelligence degli Emirati Arabi Uniti grazie all’uso del software-spia Pegasus della società israeliana NSO già nei mesi precedenti all’omicidio di Khashoggi ordinato, secondo l’intelligence americana, dal principe ereditario saudita Mohammad bin Salman.

Una versione, questa, che contrasta con quella diffusa dalla stessa NSO secondo cui la donna non era finita nel mirino del sistema di sorveglianza sotto accusa perché venduto a governi che ne hanno fatto un uso illegale, al fine di spiare giornalisti, attivisti e anche politici e membri delle istituzioni di tutto il mondo.

La prima denuncia che ricollegava l’uso del software all’affare Khashoggi, nell’aprile del 2019, era arrivata proprio da Bezos che, tramite il suo consulente sulla sicurezza, Gavin de Becker, dichiarò che l’obiettivo dell’Arabia Saudita, riuscita a suo dire a violare la sicurezza del suo telefono, era quello di far filtrate su alcuni tabloid informazioni private e foto hard del magnate americano al fine di scoraggiare le indagini del suo giornale sulla vicenda Khashoggi.

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