Oggi poche parole, in fondo questo è un video blog. Come mestiere mi sono scelto quello di catturare gli esseri umani (ed esserne catturato a mia volta): non è propriamente un mestiere perché nessuno mi paga, ma faccio di questa mia “innocenza” un valore aggiunto. Il mio occhio si posa sui volti, si è posato sul volto di Alda Merini ma anche sul volto di Rocco, il benzinaio sotto casa, perché ognuno di noi ha una storia da raccontare e a me piace ascoltare.

Recentemente mi ha contattato un ragazzo, mi ha scritto che il mio film alla poetessa Alda Merini è stato per lui una folgorazione, e mi ha chiesto un incontro. Quindi ci siamo incontrati in una giornata di neve. Voleva stare all’aperto, per una insopprimibile esigenza di fumare, e allora abbiamo fatto il film ritratto fuori da un bar, e la gentilissima Elena ci ha asciugato le sedie con un panno. Ho acceso la
videocamera quasi subito, così ci siamo conosciuti attraverso il mio obiettivo, e Davide mi ha parlato del suo amore per la poesia, per la musica, per i suoi amici che lo hanno salvato dalle tenebre. Un ragazzo garbato, gentile, enigmatico ma aperto. Fiocchi di neve scendevano, ogni fiocco unico e irripetibile, come gli esseri umani, come Davide.

Breve vita, che subito ti sciogli al suolo, senza pietà. Mi illudo di salvare dall’oblio tutte le persone che filmo, ben consapevole che l’oblio trionfa su ogni cosa. Ma va bene così. In fondo chi fa cinema ha quello che Bazin chiamava “il complesso della mummia”, la vanità di mummificare la vita che fugge, forse è una sorta di delirio di onnipotenza, e mi chiedo se dietro di me lascerò mummie o esseri umani. Questo ancora non lo so con certezza, sono uno che fabbrica ricordi, ricordi viventi, e chissà, magari un giorno le mummie torneranno a respirare, ma non sarà un film dell’orrore, attorno a noi ci sarà solo splendore e voluttà. Quindi vi lascio con Davide: vi giuro che respirava mentre lo filmavo, mentre la neve cadeva, l’infantile disastro del mondo – come la chiamava Raboni – e in questo disastro due persone si sono (ri)conosciute. Perché non ho mai creduto agli estranei, ognuno di noi vive sotto un cielo d’amore e di precarietà, e nel pentagramma della precarietà io cerco sempre la nota unica dell’essere vivente.

Articolo Precedente

Senza amore gli anziani muoiono! Il libro di monsignor Paglia sulla vecchiaia posta ai margini

next
Articolo Successivo

“Vogliamo trasformare Napoli Est in una meta di esperienze attrattive. Saranno i giovani a far riscoprire la periferia e i suoi talenti”

next