Musica

Chi è The Andre, il cantautore con la voce di Faber che piace a Dori Ghezzi e che ha rifatto “La buona novella” con l’Orchestra Verdi di Milano

Si è fatto conoscere, tre anni fa, rivisitando la trap con lo stile di Fabrizio De André. Ora ha pubblicato un EP e ha portato sul palco di un teatro uno degli album più belli e significativi del cantautore genovese. Ecco chi è Alberto Ghezzi, in arte The Andre

di Alberto Marzocchi

Il primo violino attacca nella sala buia. È il lamento di due donne, due mamme, che hanno perso i rispettivi figli e che non trovano pace. Poi entra la voce. E la tensione del pubblico si scioglie in un sospiro: “Tito non sei figlio di Dio, ma c’è chi muore nel dirti addio”. Con gli occhi chiusi, si vive l’impossibile: sul palco, a cantare la sorte dei due ladroni finiti sulla croce con Gesù Cristo, sembra esserci Fabrizio De André. “Dimaco ignori chi fu tuo padre, ma più di te muore tua madre”. Stessa voce profonda, calda, da sciamano. È la voce di Alberto Ghezzi – nessuna parentela con la moglie di Faber, Dori, che pure è seduta in prima fila – bergamasco di 29 anni, in arte The Andre. Sta seduto sulla sedia, con in braccio la chitarra. Gli manca solo di accavallare una gamba sull’altra, come spesso faceva De André. Tutt’intorno ci sono i 42 elementi dell’Orchestra Verdi di Milano. Insieme, stanno eseguendo La buona novella, con la direzione e gli arrangiamenti del maestro Simone Tonin. Alla fine della serata – è il 2 di dicembre, replicheranno il 3, all’Auditorium Cariplo – dieci minuti di applausi e un’ovazione. Meritata.

C’è, per fortuna, ancora grande interesse intorno a De André. E, per quanto riguarda chi lo ama, grandissime aspettative nei confronti di chi lo canta. Dall’apprezzamento dimostrato dal pubblico, sembra che lei non abbia deluso.

Sì, ma ero terrorizzato. Anche perché, oltre alle aspettative del pubblico, mi ero caricato di pressione da solo. Sa, portare sul palco il mio mito, con uno dei suoi album più belli, con un’orchestra di grandi professionisti e di fronte a tante persone. Però mi sembra sia andata bene. Molti amici, che mi conoscono, mi ha detto che ho iniziato a cantare, per davvero, dopo qualche canzone. Lì, quando stavo cantando Tre madri, forse mi ero già sciolto definitivamente.

In prima fila c’era Dori Ghezzi, la moglie di Fabrizio. L’anno scorso lei ha pubblicato un libro, edito da People, dal titolo Io è un altro, proprio con la prefazione di Dori. Che rapporto avete?

Ci siamo conosciuti tre anni fa. Quando scoprì il mio progetto sulla trap (The Andre si fece conoscere per aver “rivisitato” canzoni trap con lo stile di De André, ndr) volle incontrarmi in Fondazione, a Milano. Quando mi presentai, temevo che potesse avere qualcosa da rimproverarmi per quello che stavo facendo. Invece mi abbracciò e io pensai “oddio, è una leggenda vivente, e ora che faccio?”. Poi mi disse che il progetto le piaceva, che si capiva che era un omaggio. Io ero al settimo cielo. Da lì abbiamo condiviso iniziative su Fabrizio, ci sentiamo e abbiamo un bel rapporto.

Vi siete parlati dopo il concerto con la Verdi?

Sì, in camerino mi ha detto che le era piaciuto. Non so se lo abbia detto per incoraggiarmi, visto che il giorno dopo mi sarei esibito di nuovo. In ogni caso, ho pensato dentro di me che metà del lavoro era fatto.

Le ha mai detto qualcosa rispetto alla sua voce così simile a quella di De André?

In uno dei nostri primi incontri mi disse, testualmente, che le ricordavo Fabrizio quand’era giovane e non sapeva ancora cantare. Io devo aver fatto una faccia strana, perché poi aggiunse che in realtà era un complimento e che semplicemente non ero ancora del tutto consapevole del modo col quale potessi usarla. In effetti il primo De André, almeno fino a Volume 8, aveva una voce molto composta e misurata. Poi, da lì, è diventata via via più espressiva e varia.

Ha iniziato rifacendo Achille Lauro e Ghali con lo stile di De André. Ora ha portato La buona novella in teatro con l’orchestra. In mezzo, però, ha pubblicato un EP di quattro canzoni, dal titolo, evocativo, Evoluzione. Ha scelto la strada del cantautorato?

Sì, e l’idea è quella di continuare, ammesso che il pubblico mi apprezzi. Quelle quattro canzoni sono state scelte da un gruppo di una quarantina di brani. Non tutti sono buoni, me ne rendo conto. Ma l’obiettivo è quello di uscire con un album.

Nella prima canzone, Captatio Benevolentiae, riferendosi al suo passato artistico qualcuno le dice: “È inutile che cerchi di darti un po’ di smalto, se c’hai cose da dire valle a dire a qualcun altro. E facci musica di merda con la voce di De André, vuoi essere te stesso ma che me ne frega a me”. È una previsione?

In realtà è il dialogo tra me e un ipotetico ascoltatore. Siccome volevo pubblicare qualcosa di mio, mi sono chiesto: “Come posso suscitare interesse in chi mi ha conosciuto rivisitando la musica trap?”. Così mi sono immaginato la reazione dell’ascoltatore. Quella è la mia risposta.

C’è un discreto pessimismo in tutti e quattro i brani. È sintomatico per la generazione dei 30enni di oggi oppure è lei che vede tutto nero?

Per natura sono abbastanza pessimista. Ma senz’altro esprimo il sentire comune della mia generazione, che vede di fronte a sé un futuro incerto. E cupo.

È uno di quelli che pensa che l’età dell’oro appartenga solo al passato e che ora faccia tutto schifo? Mi riferisco anche alla musica, oltreché al resto.

Baldassare Castiglione, ne Il Cortegiano, nel Cinquecento, diceva che i vecchi si lamentano sempre perché i giovani non hanno voglia di fare niente, che ascoltano musica del cavolo. E aggiungeva – sto parafrasando – che il problema dei vecchi è che, osservando i giovani, ricordano quando loro erano giovani e così danno al passato luci e colori differenti. Insomma, questa cosa che prima era tutto bello e ora fa tutto schifo è un cliché. Musica compresa. Però, certo, se penso all’attualità politica, mi viene da dire che ci sono un mucchio di cose che mi fanno ribrezzo. E che ora come ora non vedo alternative all’astensionismo.

Twitter: @albmarzocchi

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