In tre anni i costi sono quintuplicati: da una media giornaliera di 50 euro a megawattora del 2019 agli attuali 250 con variazioni oscillanti e punte fino a 270 euro. I forti rincari dell’energia, problema deflagrato a settembre e ancora senza soluzioni in sede europea, hanno conseguenze particolarmente pesanti in Sardegna. Che non può contare neppure sul metano e da sempre fa i conti con costi energetici più elevati che altrove. L’allarme è partito dall’area industriale di Portovesme, nella costa sud occidentale dell’isola. La Portovesme srl, azienda del gruppo Glencore, unica produttrice italiana di piombo e zinco, ha annunciato di voler fermare l’impianto Zinco con il conseguente avvio della cassa integrazione, a rotazione, per 400 dipendenti diretti. Cgil, Cisl e Uil territoriali hanno annunciato, attraverso un comunicato firmato dai segretari Franco Bardi, Salvatore Vincis e Andrea Lai, la proclamazione dello stato di agitazione, senza escludere “eventuali azioni in conseguenza di atteggiamenti da parte aziendale non in linea con la salvaguardia occupazionale”.

Il problema è sempre più pressante e le organizzazioni sindacali di categoria della Sardegna, che già da tempo sollecitano Regione e Governo ad affrontare la questione, stanno interessando le sigle confederali nazionali. Non c’è tempo da perdere e la questione necessita azioni e risposte immediate. “O si affronta seriamente la questione energetica, oppure saranno tutti costretti a chiudere – dice il sindacalista Nino D’Orso, della segreteria regionale Femca-Cisl (il sindacato di categoria dei settori energia, moda, chimica e affini) – Non è più come qualche anno fa, quando in ballo c’eravamo soprattutto noi sardi e le aziende erano costrette a fronteggiare anche la concorrenza: ora abbiamo di fronte un’emergenza energetica generalizzata che rischia di diventare come un virus in grado di colpire le attività della Sardegna come quelle dell’Emilia Romagna”.

Francesco Garau, segretario generale della Filctem-Cgil sarda, accusa: “Il caro energia è il risultato delle scelte errate fatte già dal 2016, anno in cui in Sardegna si è deciso di portare a referendum una materia così importante che avrebbe dovuto avere una valenza di discussione diversa”. Il perché è presto spiegato: “Non poter accedere alle nostre risorse naturali, come il metano, che avrebbe avuto un costo di 10 centesimi a metro cubo con un impatto sicuramente diverso rispetto a ciò che stiamo pagando, è una aberrazione”. Questione che, secondo Garau, non può che essere affrontata a livello nazionale: “Questo problema può e deve essere risolto dal governo, cui spetta il compito di mettere mano a provvedimenti che calmierino i prezzi. In caso contrario la situazione potrà solo peggiorare”.

Al momento gli occhi sono tutti puntati sullo stabilimento sardo che garantisce 1.200 buste paga. L’azienda controllata dal colosso Glencore ha messo nero su bianco le criticità legate al caro-energia annunciando, con un comunicato ufficiale diffuso lunedì, la fermata della linea di produzione “Zinco tradizionale”. Lo stop all’impianto, che ha una capacità annua di 100mila tonnellate, dovrebbe avvenire “non più tardi della fine di dicembre 2021” e sarà portato avanti “fino a quando non ci sarà un cambiamento significativo nei prezzi del mercato dell’energia”. Nel documento aziendale vengono messi in evidenza “gli spropositati prezzi dell’energia, sperimentati in Italia e nel resto d’Europa dall’inizio di quest’anno”. Una situazione insostenibile, a maggior ragione nel caso di un’industria ad alto consumo energetico qual è la Portovesme srl. Azienda che, come è rimarcato nel comunicato, “dipende fortemente da prezzi competitivi e stabili dell’elettricità”.

Le conseguenze della fermata non sono di poco conto e oltre alla cassa integrazione per 400 maestranze dirette, è in bilico la sorte dei lavoratori di appalti e indotto. Una scelta drastica che, non esclude la stessa azienda, potrebbe anche essere rivista: “Continueremo a monitorare la situazione del mercato energetico italiano, al fine di rivalutare la decisione non appena le condizioni dei prezzi lo consentiranno”. La fermata non riguarderà le altre aree produttive della stessa azienda: “Waeltz”, “SX” e “linea Piombo” hanno meno dipendenza energetica e saranno mantenute in marcia operativa normale.

Le conseguenze socio economiche del caro energia non risparmiano nessuno e la dirigenza di Confartigianato del Sud Sardegna le rimarca in un documento a firma di Fabio Mereu e Pietro Paolo Spada, rispettivamente presidente e segretario, i quali temono effetti catastrofici soprattutto in un territorio già provato, come il Sulcis Iglesiente. “Se i 400 dipendenti diretti della Portovesme dovessero rimanere a casa, alcune decine di imprese di fornitura indiretta potrebbero chiudere per sempre, con un gravissimo rimbalzo negativo sull’occupazione e sull’economia. Questo non è che il primo esempio di una situazione che rischia di sfuggirci di mano e vanificare una parte rilevante della ripresa economica, che peraltro in Sardegna abbiamo, fino a questo momento, visto solo in parte”. “Il Decreto Sostegni bis ha avviato una riduzione degli oneri generali di sistema nelle bollette delle piccole imprese – concludono presidente e segretario di Confartigianato Sud Sardegna – ora attendiamo di vederne gli effetti per far calare il costo dell’energia che compromette la competitività delle nostre aziende e ostacola gli sforzi per agganciare la ripresa. In ogni caso, il meccanismo degli oneri generali di sistema va completamente ripensato, da un lato ripartendo in modo più equo il peso degli oneri tra le diverse dimensioni d’azienda, dall’altro spostando parte del peso dalla bolletta alla fiscalità generale”.

Articolo Successivo

Le storie dei 400 ricercatori precari del Cnr che rischiano di essere lasciati a casa: “Nell’incertezza da 15 anni, in pericolo anche la sfida del Pnrr”

next