Nel mare magnum della materia medicea, c’è una tematica spesso tirata in ballo da storici e storici dell’arte, poco nota nella sua interezza e quindi mai trattata come tale. È quella relativa alle traslazioni, esumazioni e ricognizioni dei depositi funebri della Dinastia Medici avvenute sia nel mausoleo di Piazza Madonna degli Aldobrandini, a Firenze, sia altrove. Si tratta di un numero considerevole di operazioni di cui talvolta sfuggono alcuni passaggi e dettagli. Da qui l’esigenza di mettere ordine nei “cassetti” della memoria, tra gli avvenimenti e le storie testimoniate dai manoscritti e riportate nei libri tra il 1467 (data della prima traslazione medicea di cui si ha notizia) e il 2019, integrandole con altre ricerche e poi – per gli eventi più contemporanei – con la pubblicazione di verbali inediti e documenti ufficiali, utili per capire le idee e le azioni di chi ha concepito e condotto le operazioni più recenti. Nasce così I sepolcri dei Medici (Angelo Pontecorboli editore, 486 pp., 225 illustrazioni, 36 euro) scritto da Marco Ferri, storico e giornalista, collaboratore de ilfattoquotidiano.it, uno tra i più grandi conoscitori di storia di Firenze e in particolare della dinastia dei Medici. Ilfattoquotidiano.it pubblica qui un’anticipazione dal proemio del libro.

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Dopo un periodo, lo studio e il piacere della ricerca si sono affacciati di nuovo spingendomi a concepire questo volume diviso in tre parti e che si dipana attraverso 23 capitoli: i primi 16 costituiscono La storia e vanno dalla prima traslazione di un Medici di cui si ha testimonianza scritta – quella relativa al deposito funebre di Cosimo pater patriae nel 1467 – fino all’operazione di Pieraccini e Genna che si aprì nel 1945 e si esaurì dopo un ventennio; i cinque capitoli successivi rappresentano La cronaca comprendendo sia il Progetto Medici, sia le altre operazioni successive che giungono praticamente sino ai giorni nostri; vi è infine una terza parte in cui trovano spazio due case history, cioè la ricostruzione documentaria sia della ricerca del luogo di sepoltura di Bianca Cappello, sia dei “viaggi” post mortem compiuti tra il 1574 e il 2004 dal deposito funebre di Cosimo I de’ Medici all’interno (e anche fuori) del complesso laurenziano di Firenze. In questo caso ho scelto proprio il primo Granduca Medici perché la sua vicenda è particolarmente emblematica ai fini della comprensione dei temi che ho trattato in queste pagine.

La scrittura di questo volume ha anche coadiuvato alcune personali riflessioni, come il rammarico di non avere a Firenze un vero e proprio Museo Mediceo (che una volta esisteva) e che, unitamente a quello delle Cappelle di Piazza Madonna, avrebbe potuto ospitare e valorizzare al meglio anche quella parte di patrimonio tornata alla luce grazie alle varie operazioni di esumazione, ricognizione e traslazione dei feretri medicei. Un patrimonio ricco e variegato, non tutto in mostra, talvolta disperso in luoghi non consoni, la cui riunione e razionale collocazione potrebbe solo giovare al patrimonio culturale di Firenze.

Inoltre, anche se il volume non presenta al pubblico i risultati delle analisi paleopatologiche e biomolecolari eseguite dopo le riesumazioni degli ultimi 16 anni, non di meno inventaria le numerose sparizioni di oggetti costituenti il corredo funebre dei vari corpi riesumati, arricchendo questo corpus con una sterminata rassegna di episodi insoliti e dubbi che in tutti questi anni sono emersi e ai quali non sempre è stato possibile rispondere.

Ed è proprio per questo che ritengo necessario – nella mia duplice veste di storico e di giornalista – avanzare ipotesi, basate su fatti e documenti presi in considerazione.

Appare infatti difficile dare risposta certa e esaustiva al perché – tra il 1538 e il 1737 – i Medici paiono non preoccuparsi troppo di dare definitiva sepoltura ai propri morti che intanto si accumulavano nelle due Sagrestie di San Lorenzo. Così come non si spiega perché Francesco I nel 1578 fa traslare in un luogo non ben identificato le ossa di Lorenzo di Giovanni di Averardo (fratello di Cosimo il Vecchio) e dei suoi discendenti, che rappresentavano le origini del ramo “popolano” (poi “granducale”) della dinastia, ma oggi non resta alcuna traccia, né iscrizione, di quel legame e di quelle spoglie.

E le cinque donne – Maddalena de la Tour d’Auvergne, Clarice Orsini, Maria e Isabella di Cosimo I, Dianora moglie di don Pietro – saranno state veramente inumate in uno dei due tombini della Sagrestia Vecchia, vicino il sarcofago di Giovanni di Bicci e Piccarda Bueri? Oppure i loro resti giacciono altrove? Senza contare la secolare ricerca del luogo di sepoltura di Bianca Cappello. La lista delle domande potrebbe proseguire perché ancora molto lunga; ma ho fiducia che altri, dopo di me, sapranno trovare le risposte che ancora mancano.

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