Tutti assolti gli otto comandanti del Poligono sperimentale e di addestramento interforze di Salto di Quirra, in Sardegna, per quella che negli anni scorsi veniva chiamata “la sindrome di Quirra”: una fortissima incidenza di tumori emolinfatici fra la popolazione che vive a ridosso del poligono, oltre a malformazioni congenite in bambini e animali. Al termine di un processo di primo grado durato otto anni, i comandanti a capo della struttura dal 2004 al 2010, Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi, Paolo Ricci e i comandanti del distaccamento dell’Aeronautica di Capo San Lorenzo, Gianfranco Fois e Francesco Fulvio Ragazzon, sono stati assolti dall’accusa di omissione aggravata di cautele contro infortuni e disastri. Ovvero non aver interdetto l’accesso della popolazione al territorio del poligono e non aver dotato i militari dei necessari dispositivi di protezione per maneggiare le sostanze di risulta delle esplosioni. “Art 530 del codice di procedura penale – ha recitato la giudice monocratica del Tribunale di Lanusei, Nicoletta Serra – Non vi è idonea prova circa la sussistenza del fatto”. Per gli imputati, i procuratori Biagio Mazzeo e Daniele Loi avevano chiesto pene che andavano dai 3 ai 4 anni.

Non sono bastate 167 persone che si sono ammalate di tumori e leucemie negli anni presi in considerazione dal procedimento, i bambini nati malformati, la scoperta dei “fornelli”, ovvero lo smaltimento illegale tramite brillamento di tutto l’armamento e il munizionamento obsoleto dell’esercito italiano, il ritrovamento della discarica di Is Pibris, l’uranio impoverito e il torio nelle lunette di tracciamento dei missili Milan. Tutto questo non è bastato per dare un segno alla popolazione sarda, ai parenti di coloro che si sono ammalati e a quanti contestano la presenza delle basi militari sull’isola. In una delle ultime arringhe, l’avvocato di parte civile Gianfranco Sollai, che assiste l’associazione Gettiamo le Basi e i parenti di alcune vittime, ha chiesto la trasmissione degli atti in Procura a Lanusei per procedere per disastro ambientale, art. 434, “per perseguire i veri responsabili, che ora sono a casa”, riferendosi a Capi di Stato maggiore, direttori generali degli armamenti e ministri della Difesa dell’epoca. “Perché di disastro ambientale si è trattato”, ha concluso.

Per capire la vicenda occorre fare un passo indietro. Quando nel 1956 è stato costituito il poligono militare, lo Stato ha demanializzato i terreni, che erano dei pastori. Per non avere rivolte come era successo a Orgosolo, negli anni li ha “restituiti” in concessione, con la sola interdizione (per le persone) nei giorni di esercitazione. Così gli animali hanno continuato a vivere e pascolare in quei terreni, dove restavano a terra i residui di tutte le esplosioni.

Dai primi anni duemila hanno iniziato a diffondersi le notizie di animali nati con gravissime malformazioni e gli allarmi sull’incidenza tumorale fra i pastori che vivevano a ridosso del poligono. Nel 2010, la relazione di due veterani della Asl certificò questa situazione. A questo punto il procuratore Domenico Fiordalisi (che poi ha lasciato) aprì un fascicolo contro ignoti per disastro ambientale, sequestrò il poligono (pur senza fermare l’attività e la presenza militare) e dispose la riesumazione di 18 pastori deceduti. L’analisi delle ossa venne affidata al professore Evandro Lodi Rizzini, ordinario di Fisica a Brescia e membro del Cern di Ginevra, che riscontrò una concentrazione di metalli e elementi radioattivi ampiamente superiore alla media. Per il torio si parla di valori sei volte superiori alla norma. Per altri elementi radioattivi si arrivava anche a venti volte la norma.

La “sindrome di Quirra” e le indagini del Procuratore Fiordalisi incrociarono la questione dei soldati ammalatisi in missione per l’uranio impoverito e il procuratore venne audito nella seconda Commissione parlamentare dedicata al tema. Ai commissari Fiordalisi riportò “l’illecito smaltimento di tutte le bombe obsolete provenienti da tutti gli arsenali dell’aeronautica militare – fatte passare come – prove tecniche di test esplosivi, esercitazioni di artificieri, che invece nascondevano vere e proprie opere di smaltimento di rifiuti”.

Nel 2011 il militare di leva Mauro Artizzu venne intercettato mentre parlava dei brillamenti (anche se a processo smentirà tutto): “Ho fatto un giuramento per non dire niente! – disse tentando di frenarsi – Lì hanno brillato tutte le armi di tutto, non solo della Sardegna, di tutta l’Italia”. Si scavava un’enorme buca, si piazzavano armi e munizioni e si faceva brillare. Quintali di armi che richiedevano a loro volta anche 800 chili di tritolo. “Il posto intorno diventava bianco”, proseguiva Artizzu, “che ne so, nel mese di maggio, come se avesse nevicato! Ce l’hai presente un pezzo di gommapiuma? Però era pesante”.

Alla Commissione parlamentare Fiordalisi riferì anche della “presenza di elementi tossici come il torio, che è una sostanza radioattiva contenuta all’interno del sistema di guida dei missili anticarro denominati Milan, fabbricati fino al 1999, che si disperdeva nebulizzato durante l’uso. Il torio è molto più pericoloso dell’uranio impoverito – spiegava – perché, con il decadimento, genera dei figli che emettono particelle alfa, che sono le più lesive e pericolose, perché possono danneggiare il Dna delle cellule “. Nel poligono sono stati sparati almeno 1.187 missili Milan dal 1987 al 2000.

Nel 2013, però, il Gup Nicola Clivio, ordinò una nuova perizia che affidò a Mario Mariani, professore del Politecnico di Milano. Mariani sconfessò completamente le ipotesi d’accusa del procuratore e con la sua perizia negò categoricamente il disastro ambientale nel poligono di Quirra. Al termine dell’udienza preliminare, il processo partì fortemente ridimensionato con la sola imputazione di omissioni di cautele. Da allora, dopo uno stop durato due anni per la tardiva costituzione di parte civile della Regione Sardegna, il processo è giunto oggi al suo termine. Un termine a cui molto difficilmente la Procura si opporrà, dal momento che il reato cadrà in prescrizione fra un anno e mezzo.

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