Il maxi carcere egiziano di Tora al Cairo, dove da febbraio 2020 è rinchiuso Patrick Zaki, sta per chiudere e l’attivista sta per essere trasferito. La nuova riforma penitenziaria voluta dal premier Abdel Fattah al Sisi inizia con la chiusura di Tora e di altre 12 prigioni, mentre Zaki aspetta il 7 dicembre, data della nuova udienza del processo iniziato a metà settembre dopo un anno e mezzo di custodia cautelare in carcere.

Sono passati 21 mesi dal suo arresto, un lungo tempo in cui l’attivista si è abituato all’incertezza e a non ricevere risposte. Solo una settimana fa il premier Al-Sisi ha ignorato le domande dei giornalisti internazionali a Parigi sulla sua scarcerazione, mentre Mohamed Anwar al-Sadat– nipote dell’ex premier assassinato 60 anni fa- non escludeva che Zaki potesse passare il Natale con i suoi. Venerdì 6 novembre Zaki ha avvisato i genitori che “è stato informato che la struttura della prigione di Tora sta chiudendo, “che significa che dovrà essere trasferito in un’altra struttura di detenzione”, scrive sui social la rete Free Patrick.

Gli attivisti sottolineano che non ci sono dichiarazioni ufficiali in merito, quindi non si sa “quando e dove” Patrick “sarà trasferito, una nuova incognita che preoccupa lui e la sua famiglia, oltre a tutta la comunità internazionale che si batte per la liberazione dello studente dell’Università di Bologna. Nel primo periodo in un nuovo carcere infatti non sono ammesse visite, e si teme che Patrick “sarà lasciato senza rassicurazioni, forse cibo, vestiti o necessità di base, fino a quando la sua famiglia sarà autorizzata a visitarlo di nuovo”. “Sarebbe importante che questa vicenda si chiudesse felicemente al più presto”, dice all’Ansa Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia.

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