Si mette male per Telecom Italia. E ai piani alti si registra un certo nervosismo in vista del consiglio straordinario in programma per l’11 novembre. Da un lato il socio francese Vivendi, che possiede il 23,9% della società, ha chiesto chiarimenti sui progetti del gruppo dopo una terza trimestrale deludente rispetto alle attese di mercato. Dall’altro, il governo di Mario Draghi non è intenzionato a sostenere necessariamente il progetto di rete unica che prevede la fusione del network in fibra di Telecom con quello della rivale Open Fiber. Nel mezzo c’è aria di una riorganizzazione che potrebbe pesare soprattutto sui lavoratori.

Nonostante le smentite di Tim, negli ambienti finanziari continuano a circolare indiscrezioni su un piano di ridimensionamento e di ristrutturazione dai contorni ancora tutti da definire. Senza escludere che possa passare attraverso la realizzazione di una holding di “valorizzazione” di tutte le attività del gruppo. Da qui l’attenzione degli investitori sul titolo che, dopo aver guadagnato ieri il 4,5% anche oggi è in forte ascesa a Piazza Affari. Le azioni sono spinte al rialzo anche da nuovi rumors che riferiscono di una possibile offerta del fondo Kkr su Fibercop. Sebbene Tim abbia spiegato che “non prevede una riduzione della quota in Fibercop” che non risulta che il fondo abbia avanzato un’offerta, i mercati “fiutano” che qualcosa si sta forse muovendo.

Certo è che se il progetto del cloud nazionale, in collaborazione con Cdp, Leonardo e Sogei, assorbirà parte dei dipendenti incrementando una nuova linea di business. Il problema è però che l’attività della vendita di telefonia non è più la gallina dalle uova d’oro di una volta e non può quindi più giustificare economicamente una forza lavoro rilevante come in passato. Il debito invece resta un fardello pesante (22 miliardi di indebitamento finanziario netto), mentre i risultati dell’ex monopolista pubblico sono inferiori alle aspettative: nel terzo trimestre, il gruppo guidato da Luigi Gubitosi ha assistito ad una flessione dei ricavi del 2,1% a 3,8 miliardi con un rallentamento (-3,2%) delle vendite sul fronte nazionale.

Ma soprattutto è peggiorato il margine operativo lordo (-5,9%). Segno che gli affari non vanno più a gonfie vele come un tempo. L’argomento non è sfuggito agli analisti che, durante la conferenza sui risultati trimestrali, hanno chiesto conto a Gubitosi della performance della società. “A luglio non abbiamo tenuto in considerazione i buoni, i voucher e poi non abbiamo incluso il costo del calcio (l’accordo con Dazn per il calcio su TIMVision, ndr) – ha spiegato il manager – Non abbiamo fatto una previsione piena e alcune delle aspettative bullish (di miglioramento, ndr) sulla base dei risultati di luglio avrebbero dovuto essere state più oggetto di esame. Mi dispiace. Questo è stato percepito come un cambiamento di guidance e lo è stato in una certa misura però probabilmente non ci siamo spiegati sufficientemente”.

Anche di qui, come riferiscono a Parigi, l’affondo di Vivendi con Vincent Bolloré che, dopo aver sistemato la partita Mediaset, vuole ora trovare la quadra anche sull’investimento effettuato in Telecom Italia. Secondo indiscrezioni, i francesi, proprietari del 23,9% di Telecom, sono in pressing per una pesante ristrutturazione che passi anche per la realizzazione della rete unica ad ogni costo. E cioè anche se Telecom dovesse rinunciare alla maggioranza della futura società della rete. Il confronto sul tema ci sarà nel prossimo consiglio (11 novembre) con i francesi che finora hanno dato fiducia a Gubitosi, ma che a questo punto della storia vogliono a tutti i costi far chiarezza sul futuro del gruppo.

Intanto anche l’assetto di Open Fiber sta per mutare. Novità sul tema potrebbero arrivare già prima del 24 novembre, giorno in cui Enel, attuale socio in uscita da Open Fiber, presenterà il nuovo piano industriale. E’ attesta a stretto giro la risposta e dell’Antitrust europeo sulla cessione della sua quota a Cassa depositi e prestiti (40%) e al fondo Macquarie (40%). Se tutto filerà liscio, allora, l’operazione sarà conclusa entro l’anno e Cdp diventerà il maggior socio di Open Fiber (60%). Da quel momento in poi, ogni finestra sarà buona per riprendere eventualmente in mano il progetto della rete unica. A patto, però, riferiscono fonti vicine al governo, di non lasciare la maggioranza della nuova società dell’infrastruttura nelle mani dell’ex monopolista pubblico. Opzione che peraltro non piace neanche a Bruxelles. E con cui Telecom ha iniziato a fare i conti. Non a caso l’agenzia Bloomberg ha riferito che il gruppo valuta di partecipare al progetto rete unica senza averne il controllo. Benché l’azienda abbia precisato che “non è stato oggetto di discussione nel consiglio di amministrazione e né tantomeno sono state prese decisioni al riguardo”.

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