I poveri e la classe media stanno pagando da tempo le scelte economiche dei governi, così come i privilegi concessi agli stramiliardari del mondo. Stanno pagando con l’erosione dei loro stipendi, con le condizioni di precarietà, con i licenziamenti, con l’isolamento che li vuole “zitti e buoni” a tifare meno tasse per gli straricchi e a distruggere ogni misura di protezione, dal reddito di cittadinanza al salario minimo.

Ma i poveri e la classe media pagano e pagheranno anche i disastri climatici, la crisi energetica e delle materie prime. Pagheranno tramite l’inflazione e l’erosione della loro qualità di vita, perché saranno loro a subire maggiormente i danni dei disastri climatici, mentre i più ricchi potranno acquistare acqua, cibo incontaminato ed energia per tutti i loro desideri.

Governi e multinazionali che ci hanno condotto a questo hanno un debito ambientale con il pianeta, debito che nessuno si sta preoccupando di contabilizzare. Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale dovrebbero aprire un conto per ogni Stato e per ogni multinazionale, per ogni miliardario e istituto finanziario, così da contabilizzare il debito ambientale di ciascuno. Non mancano strumenti tecnici per farlo e misurarlo, ci vuole solo volontà politica.

Il Segretario Generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, dovrebbe pretendere un simile impegno da tutti i governi e dalle istituzioni finanziarie internazionali che dopo la seconda guerra mondiale e negli anni 80 hanno incoraggiato politiche economiche e finanziarie globali scegliendo dottrine neoliberiste e aggravando i disequilibri economici di ogni nazione. Il riconoscimento di un debito ambientale dovrebbe poi tradursi in un impegno finanziario di Stati, multinazionali e istituti finanziari.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi sa bene che servono cospicue risorse per una transizione ecologica globale, che serve un Piano di Ripresa e Resilienza Mondiale e sa anche che c’è chi è più responsabile di altri delle devastazioni ambientali. È arrivato il momento che i veri leader della terra, i più ricchi del pianeta, inizino a pagare i debiti ai cittadini del pianeta.

Sotto questa lente, l’opera “caritatevole” di qualche miliardo di Jeff Bezos, Rockfeller Fundation, Bill Gates è una facile uscita di emergenza che vuole impedire meccanismi fiscali internazionali in grado di intervenire sui patrimoni globali ultramiliardari, visto che Amazon da solo ha prodotto nel 2019 ricavi per 249,7 miliardi, e visto che facendo una stima al ribasso, senza criptovalute e altro, si stima solo per l’Italia un’elusione di 142 miliardi di euro in paradisi fiscali. Paradisi fiscali per pochi e inferni climatici per tutti.

Dietro un meccanismo di finanziamento volontario degli stramiliardari per i fondi per il clima o investimenti volontari in programmi europei c’è l’interesse di piegare anche il corso della transizione ecologica a vantaggio di chi già oggi possiede la principale fetta di ricchezza del pianeta. E Bill Gates, entrando nei fondi come tutti gli altri, fa un investimento competitivo per direzionare e conoscere prima di tutti gli altri le scelte politiche in questo campo utilizzando la leva tecnologica e finanziaria. Sappiamo benissimo, ad esempio, che Bill Gates e la sua fondazione hanno un interesse particolare per le tecnologie nucleari come soluzione energetica.

A ben poco servono le rassicurazioni di Roberto Cingolani, che afferma che l’Italia entrerà nel fondo con una quota simbolica di dieci milioni di dollari per “dare garanzia dello scopo filantropico e della trasparenza delle iniziative”.

Che il vantaggio sia più per i capitali privati o non per il pianeta lo racconta anche il dossier Global Oil & Gas Exit List (Gogel) di Urgewald, ReCommon e Greenpeace che fotografa quanto poco stanno facendo le banche, le assicurazioni e le aziende come la stessa Eni verso la transizione ecologica dei loro business mentre i governi gettano la spugna delle politiche fiscali e girano il cappello per chiedere l’elemosina.

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