Oltre alla Tav Brescia-Verona, tra le grandi opere infrastrutturali al centro del dibattito e delle proteste ambientaliste nel territorio bresciano c’è il depuratore del lago di Garda: un impianto che dovrebbe sostituire quello attuale costruito negli anni Settanta e che ha un unico punto di raccolta finale a Peschiera del Garda con scarico delle acque sul Mincio.

Due vicende che si incrociano per l’evidente irresponsabilità con cui si spendono i soldi pubblici, si valutano gli impatti ambientali e si gestisce il dibattito democratico. Nessuno sembra ricordarsi più della spending review e del fatto che i soldi pubblici non si possono buttare dalla finestra, anche se i bassi tassi d’interesse li fanno costare apparentemente poco. È quanto emerge analizzando due assurdi progetti che sono sponsorizzati dalla ministra Mariastella Gelmini, che è anche presidente della comunità del Garda: neppure una liberale come lei si chiede se siano giustificabili tecnicamente e sostenibili finanziariamente, se cioè ci siano delle alternative e se sono stati valutati seriamente gli effetti ambientali.

Andiamo con ordine. Qualche mese fa, dopo dieci anni di attesa, è stato approvato il progetto di Alta Velocità da Brescia a Verona. Il progetto approvato – che però è stato bocciato dall’analisi costi-benefici del Politecnico di Milano – è stato modificato soprattutto nella parte relativa all’alimentazione elettrica; potrà quindi consentire almeno il transito anche ai treni convenzionali, non solo alle Frecce. Non sono previste stazioni nel basso Garda ma potrebbe utilmente collegare le due stazioni storiche (quindi molto più accessibili) utilizzando i raccordi con la nuova linea veloce.

Oggi, però, la Gelmini guida un fronte di istituzioni e associazioni locali, Confindustria in primis, che chiedono l’istituzione di una fermata nel basso Garda a una decina di km a sud di Peschiera e di Desenzano. Quando gli ambientalisti proposero un tracciato che passasse vicino alla linea storica per incrociare le stazioni del Garda (con risparmio di costi, di suolo e di tempi realizzativi) nessuno si mosse tranne gli albergatori. Ora si vorrebbe fare una stazione hub in mezzo ai vigneti e un centro servizi per dare impulso al turismo, all’enogastronomia, al commercio e all’artigianato. Possibile non essersi accorti prima di questa necessità?

I promotori di questa iniziativa sono gli stessi che ritenevano indispensabile la stazione all’aeroporto di Montichiari. Chissà perché sono stati zitti, un mese fa, quando l’aerostazione passeggeri di Montichiari è stata abbattuta mandando in fumo 40 milioni d’investimenti pubblici per far posto a un magazzino cargo e l’autorità dell’aviazione civile ha certificato (con tanto di Notam) la sua chiusura al traffico passeggeri. Solo nel nostro Paese può succedere che si avanzi la richiesta di una stazione i cui costi si aggirano sui 100 milioni.

Non ha sorpreso, vista l’attitudine del territorio bresciano, che si sia trovata appena iniziati i lavori una grande discarica di veleni (diclorotilene, 5 volte oltre il limite). Il nuovo depuratore è l’altra opera che tiene banco nel dibattito locale, grazie ad una protesta iniziata il 9 agosto scorso con un presidio (giorno e notte) in piazza Duomo, con i volontari che chiedono di rivedere la scelta di costruire due maxi impianti – uno a Gavardo e l’altro a Montichiari – pur rimanendo in uso quello di Peschiera. Costo del progetto, 230 milioni di euro. Anziché provvedere alla manutenzione, al potenziamento e al miglioramento delle infrastrutture esistenti, l’Autorità d’Ambito di Brescia (il soggetto pubblico delegato a gestire la materia attraverso un’azienda speciale della provincia) ha estratto dal cilindro l’idea di scavalcare le colline moreniche – superando un dislivello di 150 metri – per trasferire tutti i reflui nel fiume Chiese.

Secondo i tecnici consultati dagli ambientalisti, un buon intervento di manutenzione e potenziamento della struttura di Peschiera (in particolare delle tubature sublacuali) sarebbe sufficiente. Infatti l’attuale impianto costruito per “trattare” la depurazione delle acque di 320.000 abitanti oggi è gravemente sottoutilizzato, dal momento che la domanda solo d’estate raggiunge il mezzo milione di abitanti. A ciò bisogna poi aggiungere anche la questione degli scarichi fognari dei molti paesi in riva al lago che finiscono direttamente in acqua senza alcun trattamento e senza separare le acque bianche (principalmente la pioggia) da quelle nere.

Una grossa falla di questo progetto salta subito all’occhio: il Testo Unico in materia ambientale esclude la possibilità di trasferire i reflui da un bacino orografico ad un altro (in questo caso, dal Mincio al Chiese), e impone che i reflui restino nel bacino di provenienza. Tutto il contrario del mega sistema di pompaggio che questo progetto ipotizza allo scopo di superare le colline.

Ma dietro a questo piano non c’è soltanto un investimento dubbio, che non supererebbe nemmeno il primo step di un’analisi costi-benefici: a spingerlo c’è il comparto agricolo della alta e media pianura orientale lombarda, ovvero le economicamente potenti organizzazioni di categoria che condizionano la politica regionale e provinciale (qui sta il ruolo di rappresentanza della Gelmini), cercando di mantenere uno status quo che depaupera la risorsa primaria anche a costo di fare danni ai fiumi e ai laghi.

Il fiume Chiese e il lago d’Idro da tempo sono sfruttati in modo abnorme ai fini produttivi. Lunghi tratti del corso d’acqua, nella parte centrale e nella parte finale dell’asta del Chiese, ogni anno durante la stagione irrigua sono quasi prosciugati a causa dei canali artificiali che dirigono l’acqua nelle immense campagne dove vengono seminate colture idrovore come il mais da trinciato, che in molte zone viene addirittura seminato più volte durante la stagione estiva. Questa attività agricola è dipinta come benefica per quei territori, ma in realtà nasconde enormi interessi speculativi: dall’agricoltura intensiva che snerva la campagna e depaupera le risorse idriche, alla nascita come funghi di microcentraline elettriche che sono causa di alterazione capillare di corsi d’acqua.

Infine, le modalità decisionali pongono un grave problema istituzionale e di democrazia: la scelta di spostare il trattamento dei reflui gardesani è sostenuta dal governo che ha nominato un commissario ad hoc per la sua realizzazione. Il commissario è il prefetto di Brescia, proprio colui che in questi mesi si è rifiutato di ascoltare le ragioni di molti sindaci e del movimento ambientalista locale con metodi autoritari e contrari alle regole stesse della democrazia.

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