C’è un piccolo film che tutti i veri amanti del cinema dovrebbero vedere. E’ un film sulle immagini, sul rapporto della memoria con le immagini e anche sulla trasformazione delle immagini. Il film si intitola La macchina delle immagini di Alfredo C., è diretto da Roland Sejko ed è stato presentato a Venezia nella sezione Orizzonti Extra.

Racconta la storia di uno strano uomo con la macchina da presa, Alfredo Cecchetti (qui interpretato da Pietro De Silva), operatore fotocinematografico che lavorò per il Luce per molti anni, girando anche alcune delle scene più note dei cinegiornali che immortalarono il Duce, e poi l’invasione dell’Albania, nel 1939, al seguito delle truppe e dei coloni italiani.

Com’è noto, le cose non andarono come sperava il fascismo, e l’Albania fu liberata nel 1944, con migliaia di italiani trattenuti dal nuovo regime comunista. Tra di essi anche Alfredo, che diventò operatore per il regime albanese dopo esserlo stato per il Luce fascista. Di questo strano professionista dell’immagine si erano perse le tracce finché Sejko, albanese di nascita, non le ha ritrovate tra Tirana e Roma. Il film che ne è nato non è però solo la storia romanzata di Alfredo Cecchetti.

È anche, e soprattutto, un film sui materiali d’archivio, sul loro riuso e sul rapporto con la memoria: per questo dovrebbe essere visto dagli amanti del cinema. Alfredo scende nei sotterranei dove si conservano i vecchi rulli e le vecchie macchine: chissà perché si scende sempre per andare a cercare i materiali d’archivio, sorta di substrati del mondo, in equilibrio precario – tanto che spesso rotolano e la pellicola fuoriesce “allagando” il magazzino – ma anche radici del presente. È l’urgenza di rivedere tutto che lo muove, l’urgenza prima che le immagini si trasformino in qualcosa di sconosciuto e dunque pauroso, come tutto ciò che viene dalla memoria.

Il film accompagna il racconto di Alfredo con le immagini, poetiche e drammatiche al tempo stesso, del “lavaggio” della pellicola per recuperare i sali d’argento. Friabilità delle immagini. Che però sanno anche stimolare quella macchina del tempo e del racconto che è la memoria, che le collega e le rimonta.

Poi c’è l’”altro” film, quello fatto propriamente con le immagini d’archivio. Quanti Mussolini ho filmato, commenta Alfredo: vediamo il Duce oratore, picconatore, trebbiatore. Ripreso spesso dal basso, come fosse una soggettiva della folla. E soprattutto proprio la folla, il controcampo necessario al culto del capo. Quando infatti non la si può filmare perché Mussolini parla di sera e la piazza non è abbastanza illuminata, la si ricostruisce in teatro, reclutando le maestranze del Luce come folla immaginaria. E poi le immagini dell’invasione d’Albania. Nell’Ufficio Stampa e Propaganda di Tirana c’era una scritta che recitava: “La cinematografia facilita l’opera di penetrazione fascista”. La quale però non va come l’invasore spererebbe. Nel nuovo regime postbellico Alfredo diventa ancora una volta l’operatore ufficiale, ma le riprese assomigliano a quelle di prima.

La mia macchina, dice Alfredo, è capace di dare apparenza di realtà a tutto. Nel magazzino delle immagini può perfino capitare di trovare un rullo ancora non sviluppato, piccolo scrigno di sorprese, immagini che affiorano dal passato con impiccagioni, fucilazioni. Il sogno impossibile di ridare movimento a tutte le pellicole finisce. Ma si può ricominciare, invecchiati, a dare un corpo a quel caleidoscopio di ricordi.

Articolo Precedente

La ferocia in rete ha un’origine sociale ed ha a che vedere con la precarietà

next