di Giuliano Checchi

La decisione del Movimento 5 Stelle di aderire al governo Draghi è stato un passaggio obbligato. Lo imponeva la situazione di emergenza e la difesa di quei provvedimenti di giustizia sociale che ci erano costati oltre due anni di duro impegno e mediazioni. Ma ora, davanti a certi eventi, non possiamo che prendere atto che questo non è più un governo di “salvezza nazionale”. Ammesso e non concesso che prima lo fosse.

Ieri Draghi ha portato in Cdm la sua riforma della giustizia penale. Avrebbe potuto dare la precedenza a quella della giustizia civile, chiesta a gran voce dall’Europa, oppure alla Riforma del Csm. Invece ha dato un’accelerata improvvisa al provvedimento peggiore per il MoVimento. Un momento di debolezza come quello che sta attraversando il MoVimento, quando gli ricapitava?

Draghi (e la ministra Cartabia) sapeva bene che mettere mano alla giustizia penale, con la maggioranza allargata su cui poggia il suo governo, avrebbe voluto dire mettere in discussione la creatura più sofferta di Alfonso Bonafede, nonché uno dei più importanti obiettivi del MoVimento 5 Stelle; avrebbe significato rimettere in discussione la sua riforma della prescrizione. E così è stato: la riforma portata in Cdm dalla guardasigilli Cartabia è un’offesa alla storia del M5S e ai suoi elettori. Nonostante la misera concessione sui reati contro la pubblica amministrazione.

A questo punto, anche basta. Essere responsabili ha un senso, fino a che si riesce a concretizzare qualcosa di buono per la collettività, e a difendere le proprie posizioni. Ma dopo ieri, il limite può considerarsi superato. Perdere qualche battaglia ci sta. Ma qui ormai si va incontro ad una Caporetto. Il M5s è allo sbando, ha tutti contro. Serve una leadership forte che possa compattarlo e farlo ripartire. Unica al momento ipotizzabile, quella di Giuseppe Conte. Beppe Grillo, per lo stesso bene di ciò che hai costruito, fai un bel passo di lato!

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